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Ricomincio da me. Cambiare vita si può, basta fare le cose per bene.

Intervista di Anna Magli a Valeria Teodonio, l’autrice del libro.

Su Inside the Green abbiamo riportato parecchie testimonianze di persone che, giunte a un punto critico della loro vita, hanno deciso di cambiare completamente rotta, stile di vita, lavoro e abitudini e di cercare nuovi obiettivi e stimoli a contatto con la natura. Sono storie che hanno appassionato i nostri lettori, come dimostrano i like e le condivisioni. Oggi parliamo invece di qualcuno che ha raccontato queste storie in un libro. Un volume che oltre a contenere tante testimonianze si propone come un pratico vademecum di “dritte giuste” per chi ha intenzione di dare una svolta decisiva alla propria vita. A tutti è capitato almeno una volta di pensare che fosse il momento giuso per cambiare vita e, dopo qualche piccolo tentativo sostenuto da un momentaneo entusiasmo, tornare alla solita routine. Eppure, l’idea di cambiare la nostra vita spesso rimane lì, fra i nostri pensieri e fa capolino ogni tanto nelle nostre giornate accompagnato da un senso di crescente insoddisfazione, quando non riusciamo a fare un passo in nessuna direzione alternativa. La voglia di cambiamento è qualcosa di normale per ogni persona, specie se si sta vivendo un momento, più o meno lungo, di stress, frustrazione e insoddisfazione. In alcuni momenti queste sensazioni si amplificano e lanciano dei segnali inequivocabili. Tra il desiderio e la realtà, però, c’è un percorso da compiere, un viaggio prima di tutto interiore che dobbiamo affrontare con coraggio, consapevolezza e fiducia. Cambiare vita non può essere un colpo di testa, richiede analisi, studio e perseveranza. Spesso, quasi sempre, cambiare vita corrisponde a cambiare lavoro, e comporta un mutamento radicale delle abitudini, modus vivendi e rete relazionale.
Sono tantissime le storie di persone che hanno deciso di cambiare vita: persone diverse tra loro per genere, età, scolarizzazione, ambizioni e sogni. Le ha raccolte in un libro – Piano B. Cambiare vita è possibile – la giornalista di Repubblica Valeria Teodonio (in libreria con Sonzogno e in edicola con Repubblica). Un libro che racconta le storie di chi ce l’ha fatta, che analizza le origini profonde di questo fenomeno, ma che è anche una sorta di piccolo manuale d’istruzioni, perché cambiare vita non è un gioco da ragazzi. Per farlo bene, per renderlo un progetto attuabile e che duri nel tempo, non bastano l’istinto e la determinazione, occorre pianificare i passi da compiere, valutare i rischi, prendere consapevolezza dei propri talenti ma anche delle eventuali insidie che il cambiamento nasconde. Ne parliamo con l’autrice del libro, Valeria Teodonio.

Anche se parliamo di esperienze di vita diverse, c’è comunque qualche comune insoddisfazione o ispirazione che ha individuato nelle storie raccolte?
Il comune denominatore è la ricerca di un lavoro più appagante e creativo. Tutte le storie che ho raccolto non parlano di un rifiuto del lavoro in sé per sé , ma della ricerca di un’occupazione che possa essere più appagante e che conceda più tempo per occuparsi di cose e di persone che vogliamo nella nostra vita: la pandemia ci ha reso consapevoli di quanto la loro presenza sia  preziosa e allo stesso tempo precaria. 

Analizzando le testimonianze che ha raccolto possiamo parlare, per tutti, di un piano preciso, razionale o comunque ragionato che ha anticipato la loro svolta?
Non tutti hanno lasciato il piano A, il progetto di vita iniziale che non ha funzionato, per avventurarsi nel piano B sapendo esattamente come sarebbe andata a finire. Anche se quello che il libro consiglia è proprio di non lasciare mai un piano A senza aver prima costruito, gettato basi solide per un piano B che possa effettivamente essere un’alternativa valida di vita. Non tutti i protagonisti delle storie che ho raccolto, avevano la garanzia che il piano B avrebbe funzionato. Alcuni si sono buttati, cioè hanno fatto proprio un salto nel buio, altri avevano programmato almeno in parte la nuova esperienza che andavano a vivere, nel senso che solo quando la seconda attività ha decollato, o si è dimostrata comunque valida, hanno avuto il coraggio di lasciare quella precedente. Molti hanno continuato a tenere il piano A e il piano B in una forma di coesistenza. Scelta molto faticosa quella di portarli avanti congiuntamente, ma è comunque l’unica strada per essere certi che si stia andando verso la direzione giusta.  

Qual è, secondo lei, la molla che fa scattare la decisione di cambiare vita? Quanto è alta la soglia di tolleranza al disagio esistenziale e quale emozione ci spinge a cambiare rotta?
La molla è la necessità di riprendersi il proprio tempo. Durante la pandemia, quando il tempo è esploso, ci siamo accorti che quel tempo ci manca, gli abbiamo dato valore.  Ci siamo resi conto di quanto era importante avere la possibilità di occuparci dei nostri cari e delle nostre passioni.
Poi ci sono altre motivazioni. Molti lavoratori ormai si sentono non abbastanza apprezzati, sfruttati e diventano più reattivi nei confronti dell’atteggiamento dei datori di lavoro: questa insoddisfazione è una motivazione molto forte al cambiamento. Un altro elemento è che molti non si riconoscono più nel proprio lavoro come accadeva prima. 

Molti degli intervistati hanno fatto una scelta ecologica, verso una sostenibilità di vita nella natura. Una realtà più rigorosa e faticosa che sembra non spaventare più di tanto…
E’ vero. Molti hanno fatto questa scelta. Molti e con età diverse.  Come Alessandro, un giovane di 30 anni, che dopo dieci anni passati ad organizzare eventi musicali nelle grandi città, è tornato nella sua Sardegna e si è messo a fare il contadino. Mi ha confessato che gli mancava il contatto con la terra. E che, anche se il lavoro è faticoso, non gli pesa. Svegliarsi in mezzo alla natura – dice – non ha prezzo.
E poi c’è Michele, un signore quasi 70  anni, ex regista pubblicitario, che ha lasciato Milano ed è andato a vivere in una baita a  1300 metri  di altitudine, dove ha aperto una biblioteca/libreria.
Sono due esempi di Piani B dove il richiamo della natura è stato fortissimo, una scelta magari faticosa ma che li rende felici. Vorrei ricordare anche la storia di Maria Chiara, che, dopo diversi anni a Milano, nel pieno di una brillante carriera come consulente legale, ha deciso di ritornare alla sua terra, a Viterbo, perché le mancavano i ritmi più umani di un piccolo centro, rapporti più veri, e le mancavano la sua natura e i suoi alberi.
Maria Chiara non aveva un piano B, ma sentiva l’esigenza profonda di lasciare Milano, il caos, e i suoi ritmi di lavoro serratissimi. Così, ha mollato tutto e si è messa alla ricerca di un nuovo lavoro. E ci è riuscita. Ha trovato un impiego proprio con il Comune della sua città. Le sue competenze, le sue esperienze le hanno permesso, infatti, di occuparsi di un progetto per condurre Viterbo a candidarsi come Capitale della Cultura. 

In quanti hanno deciso di scegliere un lavoro che non li impegni solo a livello intellettuale?
Molti hanno deciso di fare un lavoro creativo e manuale, realizzare con le loro mani prodotti che potessero rappresentare la base del loro piano B. C’è chi si è messo a fare corsi di cucina, chi fa corsi di ceramica, o chi costruire borse. L’imprenditoria personale è molto diffusa tra i Piani B e molto spesso è basata sulla manualità, sulla creazione artigianale di oggetti. Alcune di queste persone sono esperte di marketing, un retaggio culturale del loro piano A, e questo li aiuta a lanciare meglio il loro prodotto rispetto ad altri che non hanno specifiche competenze.  Nel libro c’è la testimonianza di un’ex direttrice del marketing che oggi insegna agli altri come realizzare un cambio vita. Il suo Piano B è stato proprio quello di aiutare gli altri a costruire un perfetto Piano B. 

Questo trend del cambiare vita viene spesso fatto partire, nella sua evoluzione, da quel momento storico spartiacque che è stata la pandemia, e il post pandemia dei grandi licenziamenti di massa…
Il fenomeno del cambio vita è figlio delle grandi dimissioni perché in questa nuova dimensione, siamo stati costretti a fermarci e il nostro approccio al lavoro è cambiato.  Ci siamo accorti di alcune cose che ci mancavano e abbiamo capito che si può vivere anche rallentando e che rallentare, prendersi i propri tempi,  non è poi così tanto male . Quando sono esplose le grandi dimissioni, dopo la pandemia, molti hanno deciso di cercare un’occupazione diversa da quella che avevano, che evidentemente non li faceva stare bene, e quindi di cambiare la propria vita. 

Se dovesse consigliare chi si accinge a fare il grande passo, la prima regola sarebbe “ mai buttarsi senza paracadute”…?
Mai senza paracadute. Nel libro c’è un capitolo proprio dedicato ai consigli  che spiega come mettere in piedi un piano B attraverso l’aiuto degli esperti. Tra questi consigli c’è sicuramente quello di pianificare perfettamente il piano B, prima di mollare il piano A, e di tenere a disposizione un paracadute, perché il piano B può comunque fallire. Soprattutto quando si è passata una certa età, anche se, devo dire, la maggior parte delle storie raccolte riguarda persone tra i 40 e i 50 anni, quindi non proprio giovanissime. E’ necessario dunque pianificare bene il tutto per affrontare questa esperienza, perché si tratta di un grande cambiamento. Che non è facile, ma – parola di chi ce l’ha fatta – è possibile.