Consumo del suolo: come trasformare le città in ecosistemi resilienti.
Intervista a Silvia Moser, tecnico Faunistico 3Bee che ha curato l’indagine
In occasione della Giornata Mondiale del Suolo 2024 la naturetech company 3Bee ha realizzato un’analisi approfondita sull’uso del suolo in alcune città italiane, quelle con oltre 200.000 abitanti, tramite la sua Element-E Platform, la prima piattaforma che consente a municipalità, imprese e parchi naturali di monitorare impatti e dipendenze dalla natura per definire una strategia climatica su misura, con l’obiettivo di valutare l’impatto dell’urbanizzazione e delle attività agricole sul suolo urbano, con particolare attenzione alla permeabilità idrica. Il suolo è infatti una delle risorse naturali più preziose e vulnerabili, essenziale per la regolazione dei cicli idrici, il sostegno alla biodiversità e la mitigazione del cambiamento climatico. Tuttavia, secondo il rapporto ISPRA 2023, in Italia il consumo di suolo continua ad aumentare con un incremento del 10% rispetto all’anno precedente. L’urbanizzazione, le attività agricole intensive e l’impermeabilizzazione stanno compromettendo irreversibilmente molte delle sue funzioni ecosistemiche, aumentando la vulnerabilità delle città a eventi meteorologici estremi, come alluvioni e siccità. Ne abbiamo parlato con Silvia Moser, tecnico Faunistico 3Bee, che ha curato l’indagine.
Nella vostra analisi macroscopica dell’uso del suolo nelle città italiane, avete preso in considerazione quattro indicatori base. Quali sono?
Nella nostra analisi sull’uso del suolo nelle città italiane con oltre 200.000 abitanti, abbiamo preso in considerazione quattro indicatori principali: la superficie artificiale, che misura la percentuale di territorio occupato da infrastrutture urbane come strade, edifici e marciapiedi; la superficie naturale, che rappresenta la percentuale di suolo costituito da aree verdi non edificate, come parchi e boschi; la superficie agricola, ovvero la percentuale di territorio destinata all’agricoltura; e infine, il rischio idrogeologico, che valuta il rischio associato a fenomeni meteorologici estremi, in particolare le alluvioni.
L’urbanizzazione, le attività agricole intensive e l’impermeabilizzazione stanno compromettendo irreversibilmente molte delle funzioni ecosistemiche del suolo. Quali sono le più evidenti dal punto di vista della vulnerabilità delle città? Possiamo fare qualche esempio che tutti siamo in grado di accertare?
Le trasformazioni legate all’urbanizzazione, all’agricoltura intensiva e all’impermeabilizzazione del suolo stanno compromettendo molte funzioni fondamentali degli ecosistemi, rendendo le città sempre più vulnerabili. Ad esempio, l’impermeabilizzazione del terreno, con la diffusione di asfalto e cemento, impedisce al suolo di assorbire l’acqua piovana. Questo porta a fenomeni di allagamento sempre più frequenti, soprattutto durante piogge intense. È qualcosa che vediamo accadere regolarmente in città come Milano o Bologna, dove le strade si trasformano in torrenti.
Un’altra funzione cruciale che viene compromessa è la capacità del suolo di filtrare e depurare naturalmente l’acqua. Quando il terreno viene coperto, l’acqua inquinata finisce direttamente nei corsi d’acqua o nelle falde, aumentando i rischi per la qualità dell’acqua potabile. Inoltre, la perdita di spazi verdi urbani ha un impatto notevole sul microclima: senza vegetazione che mitighi le temperature, l’effetto “isola di calore” diventa sempre più evidente. Durante l’estate, le aree densamente urbanizzate, come quelle nel centro di Milano, registrano temperature più elevate rispetto alle zone periferiche, un fenomeno che si manifesta anche nei mesi invernali.
Un’altra conseguenza visibile è la riduzione della produzione locale di cibo, perché la cementificazione elimina spazi dedicati a orti e piccoli appezzamenti agricoli, rendendo le comunità urbane più dipendenti da filiere lunghe e meno sostenibili. C’è poi la questione dello stoccaggio di carbonio: la cementificazione riduce la capacità del suolo di assorbire CO₂, aggravando così il problema del cambiamento climatico. Infine, la perdita di suolo significa anche perdita di habitat per molte specie, con un impatto diretto sulla biodiversità urbana, come dimostra la progressiva scomparsa di insetti impollinatori, essenziali per l’equilibrio degli ecosistemi.
Questi problemi sono sotto i nostri occhi ogni giorno e mostrano chiaramente come il suolo sia una risorsa vitale che non possiamo continuare a sacrificare senza conseguenze. Ripensare la pianificazione urbana per includere spazi permeabili, aree verdi e soluzioni sostenibili è ormai una necessità improrogabile.
Per quanto riguarda invece gli eventi meteorologici estremi, al di là del cambiamento climatico, quali sono quelli che hanno avuto un impatto più devastante?
Le alluvioni sono tra gli eventi meteorologici estremi che hanno avuto gli impatti più devastanti in Italia, in particolare negli ultimi anni. Un esempio significativo è l’alluvione che ha colpito l’Emilia-Romagna nel maggio 2023, con piogge intense che hanno causato il riversamento dei fiumi, provocando danni enormi a città, infrastrutture e terreni agricoli. Anche nel 2024 si sono verificati numerosi episodi alluvionali. I dati dell’Osservatorio ANBI, pubblicati lo scorso settembre, hanno rilevato quasi 1.900 eventi estremi in Italia in soli 259 giorni, con una media di più di 7 eventi al giorno. Eventi simili hanno colpito anche altre parti d’Europa, basti pensare a quanto accaduto il mese scorso in Spagna, in particolare a Valencia e Barcellona.
Tra le città italiane analizzate, quali sono quelle con il suolo più libero da infrastrutture urbane?
Tra le città italiane analizzate, quelle che risultano avere il suolo più “libero” da infrastrutture urbane sono Genova e Messina. In particolare, Genova si distingue per il suo elevato indice di superficie naturale, che supera il 72%, la percentuale più alta tra tutte le città esaminate. Questo dato è influenzato dalla particolare conformazione geografica della città, che si sviluppa tra montagne e mare, creando condizioni che permettono la conservazione di ampie aree non edificate. Anche Messina presenta una buona percentuale di superficie naturale, pari al 68,9%, il che la rende una delle città con il suolo più “libero” da infrastrutture urbane.
Si tratta solo di scelte urbanistiche o gioca un ruolo anche la loro conformazione morfologica?
Le scelte urbanistiche, come la pianificazione territoriale e le politiche di espansione urbana, giocano un ruolo fondamentale nel determinare l’occupazione del suolo. Tuttavia, la morfologia del territorio – cioè le caratteristiche fisiche del paesaggio, come montagne, colline, fiumi o coste – ha un impatto altrettanto significativo. Ad esempio, in territori montuosi o collinari, le possibilità di espandere le infrastrutture sono limitate, e questo può favorire la conservazione di ampie aree naturali. Al contrario, in pianure o valli, dove il terreno è più facilmente edificabile, l’urbanizzazione tende a essere più intensa, portando a una maggiore occupazione del suolo da parte di infrastrutture urbane.
Con riferimento al rischio idrogeologico, quali invece le città con i livelli di rischio più elevati?
Con riferimento al rischio idrogeologico, tra le città analizzate con i livelli di rischio più elevati (livello 4 su 5) figurano Torino, Milano, Padova, Bologna, Verona, Genova e Venezia.
Cosa determina questo livello di rischio più elevato?
Tra i fattori principali che determinano un rischio idrogeologico elevato si evidenziano l’urbanizzazione intensiva, che riduce le superfici permeabili e la capacità dei territori di gestire le acque meteoriche, e il cambiamento climatico, che sta intensificando fenomeni estremi come precipitazioni violente e inondazioni. La stessa Genova, nonostante l’elevata percentuale di superficie naturale nelle aree collinari circostanti, resta fortemente esposta al rischio idrogeologico a causa di fattori come la canalizzazione dei torrenti, l’urbanizzazione nelle piane alluvionali e l’aumento della frequenza delle precipitazioni. La conformazione geografica, con valli strette e ripide, accelera il deflusso delle acque piovane, aumentando la probabilità di esondazioni improvvise, come dimostrato dalle alluvioni ricorrenti che hanno colpito la città negli ultimi anni.
In che modo le attività agricole possono portare a fenomeni di erosione e compattamento del suolo?
Le attività agricole possono contribuire all’erosione e al compattamento del suolo in diversi modi. L’erosione si verifica principalmente a causa della perdita di copertura vegetale, che protegge il suolo dall’azione diretta delle piogge e del vento. Quando la terra viene coltivata in modo intensivo, senza adeguate pratiche di conservazione, l’acqua piovana può erodere la superficie del suolo, portando via le particelle più fertili e riducendo la capacità produttiva, ad interesse agricolo, del terreno. Questo, alla lunga, impedisce al suolo un adeguato assorbimento di acqua e aria, rendendo il terreno quasi impermeabile e quindi meno resiliente agli eventi climatici estremi. Pratiche agricole sostenibili e attività di agricoltura rigenerativa che diano spazio alla biodiversità, sono fondamentali per prevenire questi fenomeni e preservare la salute del suolo.
Quali sono le soluzioni che anche il mondo impresa può mettere in campo per trasformare le città in ecosistemi resilienti, promuovendo l’equilibrio tra sviluppo economico e tutela ambientale?
Grazie a soluzioni scalabili e basate sui dati, anche il mondo impresa può contribuire concretamente a trasformare le città in ecosistemi resilienti, promuovendo l’equilibrio tra sviluppo economico e tutela ambientale. La gestione del suolo, elemento chiave per la resilienza ambientale, non può prescindere dalla collaborazione tra settore pubblico e privato. In questo senso, la piattaforma ambientale Element-E di 3Bee offre alle imprese uno strumento integrato per monitorare e gestire i propri impatti e dipendenze dalla natura, consentendo di definire strategie climatiche e di tutela ambientale su misura, nel rispetto della compliance normativa.