Dopo decenni di spopolamento e marginalizzazione,
i territori montani vivono un rinnovato interesse.
Intervista di Anna Magli agli organizzatori della Scuola di Ecologia Politica in Montagna,
un progetto di ricerca multimediale sulla montagna e le aree interne.
La Scuola di Ecologia Politica in Montagna è nata da un’idea dell’Associazione Boschilla, progetto di ricerca multimediale sulla montagna e le aree interne, in collaborazione con Articolture, casa di produzione culturale di Bologna che, tra gli altri progetti, dal 2014 ha lanciato Lagolandia, un percorso di valorizzazione culturale dell’Appennino Bolognese. La Scuola ambisce a diventare un punto di riferimento, di studio, aggiornamento e ricerca-azione, non solo per gli abitanti e i professionisti del territorio, ma per tutti coloro che – per lavoro, per passione o per spirito di partecipazione e cittadinanza attiva – vogliano avvicinarsi a una disciplina complessa e multi-sfaccettata come è l’ecologia politica. Ne parliamo con gli organizzatori.
Che senso ha oggi una scuola di ecologia politica, in quale segmento della formazione vi andate
a collocare?
L’ecologia politica studia da diverse angolazioni e con l’apporto di varie discipline le complesse relazioni tra economia, politica, società e ambiente naturale. In questo senso i territori rurali e montani offrono un punto di vista eccentrico per osservare i fenomeni socio-ecologici locali e globali, una prospettiva “periferica” che può aiutare a svelare dinamiche e contraddizioni del rapporto uomo-natura-cultura e lanciare sguardi critici al sistema socioeconomico dominante. Dopo decenni di spopolamento e marginalizzazione questi territori sono oggi protagonisti di un rinnovato interesse sullo sfondo del contesto di crisi ambientale e valoriale della “società dei consumi” e dei recenti cambiamenti culturali che hanno profondamente modificato la nostra idea di “benessere”. Interesse che riporta oggi le aree appenniniche (che rappresentano nel complesso il 60-70% del territorio italiano) al centro del dibattito culturale, politico ed economico, in bilico tra riscoperta, valorizzazione, sperimentazione sociale ed ecologica e rischi di speculazioni, messa a valore, impoverimento e devastazione. Portando in un comune appenninico questo tipo di evento di formazione cerchiamo di aprire momenti di approfondimento e riflessione sul senso e il ruolo nella società contemporanea delle aree “rurali”, nello specifico le aree interne appenniniche, e al loro possibile rilancio e risignificazione in un’ottica di giustizia sociale e ambientale. Ci rivolgiamo soprattutto a studenti universitari e ricercatori con diversa formazione, in linea con la multidisciplinarietà dell’ecologia politica, che vive di ricerche e riflessioni provenienti tanto dalle scienze umane quanto dalle scienze naturali e tecnologiche. Le nostre classi sono comunque molto variegate e comprendono anche dottorandi, liberi professionisti provenienti da diversi settori, amministratori del territorio e alcuni cittadini, che seguono con interesse le attività della scuola.
Parliamo dell’ultima edizione del ciclo formativo, che si è concluso lo scorso settembre. Il tema base era quello dell’energia, declinato nelle varianti “comunità energetiche” ed “energie di comunità”. Di cosa si è parlato?
Le comunità energetiche rinnovabili (CER) sono sistemi collettivi di autoproduzione e condivisione di energia elettrica rinnovabile in cui ogni componente (singoli cittadini, aziende, amministrazioni pubbliche, ecc….) può investire una quota per un impianto e condividere con gli altri partecipanti, attraverso la rete elettrica, l’energia prodotta non utilizzata, mettendo così in comune sia i propri consumi che la propria produzione energetica. Un processo che se attivato correttamente può portare la comunità a ridurre il proprio impatto, avere un sostanziale risparmio in bolletta, beneficiare degli incentivi sull’energia condivisa e aumentare la propria partecipazione e consapevolezza critica. Una possibile risposta comunitaria ed ecologica alla crisi ambientale della nostra epoca e a quella energetica della più stretta attualità. In questo campo (e siamo convinti anche in tanti altri) le comunità montane possono rivelarsi, per alcune caratteristiche socio-territoriali, luoghi di sperimentazione di processi virtuosi e pioniere di una vera transizione ecologica ma anche sociale. La disponibilità dell’Unione Appennino Bolognese e in particolare del Comune di Castiglione di Pepoli a farsi “laboratorio a cielo aperto” per i progetti di ricerca-azione che la Scuola promuova ogni anno, va in questa direzione. In ogni caso, le CER come qualunque altro processo collettivo, non solo di tipo energetico, hanno bisogno – prima ancora che della tecnologia – di una comunità da cui partire, una rete di attori motivati che condividano regole, oneri e obiettivi… è una questione innanzitutto sociologica. Per questo, prima della comunità energetica per noi vengono le “energie della comunità”, fatte di singoli e realtà associative che scelgono di vivere, lavorare e “fare rete” sul territorio. Energie abitative e produttive della montagna contemporanea, indispensabili per resistere ai processi di spopolamento, riabitare i territori rurali con nuove prospettive ed incrementarne la resilienza. Ne abbiamo discusso con la presentazione di alcune esperienze collettive e partecipate che animano l’Appennino trasformando queste terre marginali in terre di sperimentazione sociale e culturale.
Sempre nell’ambito dell’ultima edizione c’è stato un incontro pubblico con Sabrina Lucatelli, direttrice di Riabitare l’Italia. Quale è stato il suo contributo?
Riabitare l’Italia è la principale associazione nazionale sul tema del ripopolamento dei territori montani, un progetto culturale che ha riunito professionisti, intellettuali, tecnici, istituzioni e cittadini a ragionare sul tema delle aree interne e a riconsiderarle come una risorsa. La Dott.ssa Lucatelli ha partecipato a un incontro pubblico delineando i contorni delle politiche nazionali sul tema, nonché il contributo e i limiti della Strategia Nazionale Aree Interne (SNAI) e i suoi possibili sviluppi futuri. Non sono però mancate nel dibattito anche riflessioni più “antropologiche” sui recenti processi di ripopolamento e le motivazioni che spingono chi sceglie di abitare in un territorio montano o di non abbandonarlo. Un prezioso contributo per le nostre giornate di studio e un’occasione per portare contenuti “tecnici” a platee più ampie. I cittadini presenti hanno dimostrato la volontà di approfondire dinamiche che interessano il loro territorio, rivelando anche il portato divulgativo che può avere un’esperienza come la Scuola di Ecologia Politica in Montagna. A moderare il dibattito il prof.re Augusto Ciuffetti, storico ed economista dell’Università delle Marche che ha posto l’Appennino al centro dei suoi studi, uno dei nostri relatori della terza edizione della scuola. Ringraziamo entrambi per aver partecipato.
Come si sviluppa il vostro progetto di “Trekking didattici?”
Più che un progetto, il trekking didattico è una pratica che abbiamo deciso di adottare cercando di adattarla a diversi contesti (dai seminari della Scuola di Ecologia Politica, ai progetti culturali e didattici che seguiamo) che considera l’attraversamento di una porzione di territorio come supporto e stimolo all’osservazione e al processo conoscitivo. Del resto, un’area di media montagna è sempre costituita da un complesso mosaico di paesaggio boschivo, agropastorale e insediativo, luoghi dove processi naturali e antropici si intrecciano e si plasmano vicendevolmente da millenni. Per questo parlando di ecologia politica e di relazioni tra società e ambiente abbiamo pensato di integrare nel programma delle camminate collettive tra studenti e docenti, per cercare di cogliere gli spunti di riflessione che il paesaggio può offrire. Ad esempio, in questa edizione che focalizzava sull’energia e insiste su un territorio caratterizzato da bacini idroelettrici, ci sembrava d’obbligo che un’escursione che toccasse uno di questi luoghi, a ricordare che la questione energetica modellava il paesaggio già all’alba del ventesimo secolo. È inoltre una pratica che offre occasioni di scambio con la popolazione locale e di approfondire il contesto territoriale osservando, domandando e ascoltando, oltre che un modo efficace di rompere gli schemi della lezione frontale, rendere il contesto più informale e
facilitare gli scambi tra studenti e relatori, stimolando il dibattito. Al ritmo dei passi.