Grazie al Progetto SWiPE del WWF, una nuova politica per la tutela della biodiversità e il contrasto ai crimini di natura.
Intervista di Anna Magli a Domenico Aiello, Responsabile tutela giuridica della Natura WWF Italia, Project Officer Life SWiPE.
In data 12, 13, 14 aprile si è tenuto un corso di formazione organizzato dal WWF Italia per discutere delle principali problematiche che riguardano la tutela della biodiversità e il contrasto ai crimini di natura come il bracconaggio, il traffico di specie protette, la pesca illegale, con i principali attori coinvolti, a partire dalla Magistratura e dalle Forze di Polizia. Gli incontri facevano parte di un progetto più ampio finanziato dall’Unione Europea, il LIFE SWiPE (Successful Wildlife Crime Prosecution in Europe) di cui il WWF Italia è partner. I crimini a danno di flora e fauna rappresentano un mercato illegale che vale 20 mld di dollari/anno e tocca oltre 6000 specie, con ripercussioni su interi ecosistemi, salute umana, micro e macro economie, stabilità politica e sociale e ovviamente sulla stessa conservazione delle popolazioni animali colpite e sulle comunità vegetali. Alcune ricerche sottolineano come possano avere un impatto perfino sui cambiamenti climatici attraverso la rimozione di specie polifunzionali per gli ecosistemi naturali. Il Progetto LIFE SWiPE nasce per migliorare il contrasto della criminalità in natura, tramite la collaborazione diretta con magistrati, rappresentanti delle forze dell’ordine, e con tutti coloro i quali hanno un ruolo attivo nelle azioni d’investigazione e persecuzione dei crimini contro la fauna selvatica. Nel collegamento ipertestuale è possibile scaricare il report completo degli illeciti denunciati tra il 2016 e 2019.
Ne parliamo con Domenico Aiello, Responsabile tutela giuridica della Natura WWF Italia, Project Officer Life SWiPE.
Quando nasce il progetto SWiPE e quali sono i principali obiettivi?
Nasce del 2020 ed è finanziato dall’Unione Europea, dietro la sollecitazione di alcuni paesi europei , fra cui l’Italia, che hanno preso coscienza di una necessità che non poteva più essere procrastinata. Vale a dire contrastare in maniera efficace i crimini contro la fauna e la flora selvatiche attraverso una modalità diversa, cioè la formazione di quei soggetti che, istituzionalmente, si occupano di applicare le norme, quindi Magistratura e Forze di Polizia. Per farlo era necessario acquisire una serie di conoscenze rispetto a questo fenomeno per fare in modo che la formazione fosse più efficace possibile. Gli obiettivi sono di contrastare questi fenomeni in aumento, fare in modo che i crimini riescano ad arrivare a processo, a giungere a una sentenza di condanna. Per farlo, conoscendo la problematica legislativa cioè la poca efficacia delle norme, occorre lavorare sulla formazione dei magistrati. Questi gli obiettivi che l’Unione Europea ha condiviso con noi e la ragione per cui ha deciso di finanziare il progetto.
Quali sono i dati emersi nel corso dell’incontro del 12 aprile in Corte di Cassazione e com’è la situazione legislativa in Italia per questi reati?
Iniziamo con qualche dato, che rende benissimo l’idea della situazione. L’Italia è un crocevia fondamentale del traffico di specie protette e di crimini contro la fauna selvatica. Le sanzioni rilevate dai Carabinieri ammontavano nel 2018 a oltre 5 milioni e mezzo di euro (oltre 1 milione nel 2020). Tra il 2016 e il 2019 la Regione in cui sono stati denunciati più illeciti è la Lombardia con 5.256 denunce, seguita da Veneto con 2.526 e Toscana con 2.247 denunce. ( I dati completi li potrete estrapolare dal progetto linkato nella premessa dell’articolo) .
Abbiamo costatato un quadro molto problematico perché l’attività di raccolta dati che abbiamo effettuato nel 2021, ha evidenziato un problema relativo proprio all’assenza di dati. Non esiste una banca dati centralizzata sui crimini di natura. I dati relativi a questi crimini, a disposizione della pubblica Autorità oggi, sono pochi e comunque non inidonei allo scopo perché incompleti , superficiali e aggregati. Noi per esempio abbiamo acquisito anche dati delle Procure e sono dati che si riferiscono solo al numero dei processi attivati ma non sappiamo che tipo di processi siano, non ne conosciamo le caratteristiche: manca l’elemento qualitativo del dato che ci permetta di fare una statistica attendibile. Inoltre, non riusciamo a tracciare un fenomeno illecito dal momento in cui viene individuato fino al momento in cui finisce il suo iter che può essere una sentenza oppure qualcosa che succede prima della sentenza. Sempre che ci si arrivi alla sentenza… In Italia tra il 41 e il 46% degli illeciti vengono archiviati prima del dibattimento, e tra il 38-50% vanno in prescrizione. Solo il 27% degli illeciti di natura arriva a condanna. La cosa più importante da evidenziare rispetto ai dati è che non riescono a rappresentare fedelmente la portata del fenomeno, le sue caratteristiche e questo è veramente molto limitativo perché se non si riesce a fare una fotografia esatta di un fenomeno criminale non è possibile averne percezione e individuare gli strumenti giusti per contrastarlo.
Perché il crimine di natura si definisce “crimine trasversale”?
Anche nella presentazione che abbiamo recentemente fatto in Corte di Cassazione, ho usato la definizione di “crimine trasversale” per la trasversalità dei suoi impatti. Noi spesso pensiamo che siano fenomeni criminali di interesse esclusivo degli ambientalisti o comunque di chi ha a cuore gli animali. Ma non è così. Innanzitutto l’impatto principale è quello della perdita della biodiversità, della distruzione degli ecosistemi: non è qualcosa che interessa una cerchia ristretta di persone. Interessa tutti! La biodiversità è quella che ci permette di alimentarci, di vivere. Noi viviamo grazie alla biodiversità e agli ecosistemi che forniscono tutta una serie di servizi che sono fondamentali per la nostra vita. Uno dei più evidenti di questi sistemi è l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo, il cibo di cui ci nutriamo. La distruzione di biodiversità ed ecosistemi è un atto criminale a tutti gli effetti che si caratterizza come tale per il generare conflitti sociali, insicurezza e altri aspetti classici di fenomeni criminali. La distruzione di habitat significa anche lo spostamento di specie selvatiche dai loro ambienti di origine a quelli umani : azioni che comportano anche il rischio di zoonosi , cioè malattie causate da agenti trasmessi per via diretta o indiretta, dagli animali all’uomo. Parliamo d’influenza aviaria per non parlare del Sars Covid 19. Fra gli effetti criminali di certi atti c’è anche l’inquinamento dell’economia: fenomeni connessi agli aspetti economici con l’obiettivo principale dei criminali di trarre profitto. A differenza di quello che si pensa, spesso si utilizza il concetto di “tradizione” quasi a giustificare, a sottovalutare una condotta criminale che può essere, ad esempio, quella contro gli uccelli selvatici, pratica abbietta molto presente nel nostro Paese. In realtà dietro il traffico dei richiami vivi della Lombardia o dei cardellini nel Sud Italia, si celano profitti ingentissimi. Ecco perché “trasversalità”. Tutti questi impatti, che abbiamo analizzato, vanno a condizionare negativamente la vita di chiunque, anche di chi non è interessato alla natura.
Quali sono gli animali principalmente vittime di questi reati?
Abbiamo pubblicato una mappa del bracconaggio in Italia che evidenzia come nel nostro paese ogni Regione, ma anche ogni territorio all’interno della Regione stessa, abbia una sua “tradizione” criminale che ha a che fare con la fauna selvatica. In generale nel nostro Paese le vittime principali sono ancora una volta gli uccelli, oggetto di traffici legati soprattutto a due elementi: l’alimentazione – pensiamo alle ricette tradizionali che li vede come ingredienti – che produce una forte domanda che porta un ‘import ed export sia a livello nazionale che internazionale. Abbiamo uccelli che vengono bracconati al sud Italia e arrivano sulle tavole bresciane e bergamasche . A livello internazionale abbiamo notizie di sequestri da parte della Polizia che ha scoperto uccelli morti in arrivo dall’est e dal nord Europa verso l’Italia. Poi c’è l’importazione di fauna esotica, che ancora oggi ha un giro impressionante. A livello territoriale sono tanti gli esempi che rientrano in questo crimine: pensiamo ai poveri ghiri in Calabria dove c’è l’usanza – viene chiamata “tradizione” ma non è altro che un’attività criminale – di catturare illegalmente i ghiri per farci condimenti. Un’attività che coinvolge anche organizzazioni criminali come la ‘ndrangheta che li utilizza per propri riti d’iniziazione ( Leggi articolo sull’argomento). Per adempiere a questa “tradizione criminale” si cerca di nascondere i ghiri per farli entrare in carcere e soddisfare questa barbara consuetudine. La linea di demarcazione tra crimine e “tradizione” è molto sottile perché la tradizione spesso non è altro che una maschera che si mette a un fenomeno puramente criminale. E tale deve essere trattato senza essere derubricato o sminuito. Abbiamo oggi anche esponenti politici istituzionali che parlano di pratiche vietate come se fosse qualcosa di normale e accettabile, magari nascondendosi proprio dietro la scusa della tradizione. Faccio riferimento alla cattura di uccelli vivi rinchiusi in gabbia per attirare altri uccelli. In realtà è una tradizione medievale che aveva senso mille anni fa ed ora non lo ha più.
E’ giusto parlare solo di animali o i crimini d natura comprendono anche il mondo vegetale?
Certo, pensiamo al traffico illecito di legname. Abbiamo oggi una domanda di legname molto elevata e spesso non conosciamo la sua provenienza soprattutto per i tipi più pregiati. Pensiamo al Tek birmano che per essere messo sul mercato comporta il disboscamento di aree sensibilissime. Pensiamo all’Amazzonia …. Il traffico di legname è un problema molto serio, ma anche quello di piante rare. Un esempio su tutti sono le radici della Genziana lutea, ricercate per farne liquori. Oggi la raccolta della Genziana è infatti severamente vietata, essendo ancora in vigore la legge regionale 45 approvata nel lontano 1979, pensata per tutelare e conservare la flora naturale e spontanea dell’Abruzzo a rischio di estinzione. Anche le specie vegetali sono spesso oggetto di crimini di natura a causa di interessi economici elevatissimi.
Si dice che i crimini contro natura siano la quarta attività criminale più redditizia al mondo, preceduti solo dal traffico di droga, contraffazione e traffico d’armi. Ritiene che si tratti di un problema sottovalutato?
Abbiamo parlato di trasversalità degli impatti e rilevanza degli impatti. Nonostante questo, abbiamo una sottovalutazione enorme nella pubblica opinione a causa di due fattori. Il primo è l’ignoranza, su cui il progetto SWiPE deve agire. Il secondo è la pressione delle lobby perché essendo un fenomeno criminale tipicamente economico, ci sono altissimi interessi in ballo. Oggi le sanzioni per questi crimini sono talmente ridicole che chi commette i crimini considera la sanzione come una tassa sul reato che compie; cioè, la mette in conto e non incide sul profitto. Gli strumenti normativi sono inadeguati, le pene non sono commisurate. Chi uccide una specie protetta, un lupo, un’aquila reale, può cancellare dalla fedina penale il proprio crimine con soli 1.000 euro.
Questi strumenti inadeguati comportano proliferazioni dei fenomeni criminali date da un senso di impunità enorme; vengono svilite le attività delle forze di Polizia perché per riuscire a fare un’attività di indagine in questo campo bisogna veramente produrre uno sforzo investigativo e operativo notevole, per poi magari vedere un procedimento che non riesce neanche ad arrivare al processo, non solo a sentenza. E’ necessario riformare le norme, come ci chiede da anni l’Unione Europea, invece quello che sta succedendo è l’esatto opposto perché il parlamento non sta facendo altro che approvare tutta una serie di leggi volte a ridurre la tutela delle biodiversità.
Le misure per affrontare i bracconieri sono inadeguate? Che cosa è cambiato secondo voi dopo il passaggio da Corpo Forestale autonomo a quello inglobato nell’Arma dei Carabinieri? Era meglio quando agivano autonomamente? Come sta funzionando la Polizia Provinciale che aveva fra i suoi compiti anche quello di vigilare su fauna e flora locale?
Il passaggio dal Corpo Forestale a Carabinieri Forestali ha avuto sicuramente una fase di assestamento, come è normale che sia. Sicuramente ci sono state ripercussioni negative nella prima fase. Oggi invece registriamo una operatività efficace anzi abbiamo anche costatato che in molti casi c’è una forte collaborazione fra i Carabinieri forestali e i Carabinieri territoriali. L’Arma è stata influenzata positivamente rispetto alla sensibilità ambientale. Al contrario la situazione delle Polizie provinciali è catastrofica perché l’art. 27 della legge 157 del 1992, che individua le polizie provinciali come i soggetti che per primi hanno la competenza rispetto alla fauna selvatica e la vigilanza venatoria, non ha fatto il conto della drastica riduzione dell’organico che negli anni si è verificata. All’indomani della legge che ha abolito le Province nel 2014, c’è stato un peggioramento che ha visto ridurre da 3000 unità complessive presenti in tutte le province, a meno di 800 agenti presenti in un numero ridottissimo di province, spesso in contingenti così esegui da non consentire di svolgere le attività a cui sono assegnati. Questa è una situazione che ci è sta confermata dallo stesso Ministero dell’Agricoltura e anche dalla conferenza delle Regioni delle province autonome che nel 2021 ha pubblicato un ordine del giorno in cui parlava di problemi sia qualitativi che quantitativi rispetto questo servizio.
Esiste un corpo di vigilanza volontaria, come si può aderire?
L’azione di vigilanza delle Guardie volontarie WWF è essenziale per supportare lo Stato nel contrasto alle illegalità. Nei 5 mesi della stagione venatoria 2021-22 le Guardie WWF della Campania hanno tratto in salvo 120 animali, trasmesso alle autorità 97 violazioni penali, effettuato 77 sequestri ed elevate 25 violazioni amministrative, per un totale di 172 segnalazioni alle autorità. Il WWF ha una sua struttura di vigilanza volontaria come ce l’hanno altre associazioni ambientaliste. Abbiamo una vigilanza volontaria venatoria che tutela la fauna ittica nelle acque interne di fiumi e laghi e la fauna selvatica, occupandosi di fare controlli ed elevare sanzioni quando necessario ma anche di conferire animali ai centri di recupero di fauna selvatica. Nella nostra attività di raccolta dati abbiamo visto che, integrando i dati carenti che abbiamo, con altre fonti di dati, come quelle detenute dai Centro recupero animali selvatici, miniere di dati totalmente inutilizzati, è possibile dare maggiore vigore all’azione investigativa e di presenza di presidio del territorio. Sul nostro sito è possibile compilare un modulo per candidarsi a guardia di vigilanza volontaria e portare avanti il processo formativo per diventare guardie riconosciute dalla Prefettura con apposito decreto.
Quali sono le proposte individuate del WWF per fermare i crimini di natura? E’ ipotizzabile un vostro coinvolgimento anche a livello legislativo?
Le nostre proposte si dividono in tre macro aree. La prima riguarda la raccolta dati per avere banche dati efficienti su supporti digitali eliminando il cartaceo. Dati che siano in grado di rappresentare l’intera filiera delle attività di contrasto. La seconda è favorire una maggiore vigilanza del territorio, investendo su nuovi soggetti che si occupino di sorveglianza del territorio dotati di strumenti operativi, normativi e sanzionatori più efficaci ( droni o altri strumenti tecnologici che possano servire anche a una sola guardia per presidiare un territorio più vasto) riconoscendo e sostenendo il ruolo di vigilanza volontaria con una legge quadro. La terza è investire su formazione e sensibilizzazione di Magistratura, Forze di Polizia e opinione pubblica soprattutto in un periodo come questo quando la fauna selvatica viene identificata come un nemico, un pericolo che deve essere eliminato fisicamente quando invece la fauna selvatica svolge semplicemente il suo ruolo in quanto tale ed è fondamentale per la nostra stessa vita. Bisogna sapere gestire bene il rapporto tra noi esseri umani e la fauna selvatica tenendo conto del principio della convivenza che non può non presupporre, alla sua fonte, la conoscenza reciproca . Bisogna conoscere per convivere in armonia con il pianeta che ci ospita, godendo con rispetto delle ricchezze che ci offre senza depredarlo.