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Bologna Montana Art Trail: Debora Domenchelli. Con le mie opere cerco di trovare una via per dire l’indicibile

Intervista di Anna Magli a Debora Domenichelli, artista.

In prossimità del lago di Castel dell’Alpi, Debora Domenichelli ha realizzato l’opera “La porta delle Sindoni”, un’altra installazione del percorso Bologna Montana Art Trail. La sua opera vuole essere un invito ad attraversare le soglie e ad accogliere i cambiamenti e le novità che stanno dall’altra parte. Questa porta è un’architettura tessile, che richiama i motivi a rosone degli architravi in pietra, ancora presenti negli antichi edifici della montagna bolognese. In queste tele intrecciate sono riposte le fatiche, le speranze e le gioie, impresse dai loro corpi. La tecnica è un chiaro riferimento all’artigianato: l’intrecciatura della paglia, tecnica largamente praticata fino al dopoguerra, esclusivamente nell’alta valle del Savena e in poche zone limitrofe. Diamo voce oggi a quest’ artista visionaria, protagonista con altri scultori di una rassegna in continua evoluzione, dove selezionati artisti realizzano opere di Land Art avvalendosi di materiali prevalentemente naturali, come alberi, rami, sassi, terra ed altro. Le opere sono e saranno installate in modo permanente lungo il percorso con l’intento di realizzare nell’arco di alcuni anni una galleria a cielo aperto costellata di decine e decine di opere di Land Art.

Debora, qual è stata la sua esperienza di formazione e qual è il suo percorso artistico?
Il mio percorso è stato discontinuo e un po’ fuori binario. Dopo la maturità artistica e il diploma di modellista figurinista ho avuto una parentesi nella grafica per l’abbigliamento, poi ho fatto i lavori più disparati allontanandomi dall’ambiente artistico. Vent’anni fa l’incontro con l’artista visuale Sabrina Mezzaqui e il suo Tavolo di Lavoro di Marzabotto mi ha riavvicinato all’ambiente, dando vita a collaborazioni e co/progettazioni che durano tuttora. In parallelo ho intrapreso un mio piccolo percorso personale con la partecipazione al progetto di arte pubblica Cuore di Pietra a Pianoro e ad alcune mostre sul territorio bolognese. Sono nata con ago e forbici in mano e ho sempre tenuto vivo l’artigianato delle tecniche “minori” tramandato di madre in figlia come cucito, ricamo, uncinetto, intrecci, ecc. rivalutandolo come linguaggio artistico a pieno titolo, al pari della scultura o del disegno. L’amore per la botanica e il mondo vegetale hanno aggiunto elementi importanti al mio percorso, attraverso il piacere di camminare e osservare gli elementi naturali e i loro meccanismi vitali.

Secondo la sua esperienza quali sono le inclinazioni, gli stati d’animo e le competenze che deve avere un artista di land art?
Posso parlare solo di quello che sento utile per me: è imprescindibile partire dalla coltivazione della mia spiritualità, questo mi consente di allargare lo sguardo a 360° e abbracciare, attraverso la mia storia personale, il territorio, la cultura, il momento storico, il reale e il trascendente cercando di trovare una sintesi di tutto questo nel lavoro. E poi il senso di responsabilità verso lo spazio, che è pubblico, e la capacità di lasciare andare: all’aperto tutto si trasforma in fretta e finisce.

Lei sceglie il materiale in base al soggetto o perché, magari, quella materia inerte le ha procurato determinate sensazioni? Ci riferiamo al fatto che la sua Porta è stata costruita tagliando, cucendo e intrecciando della vecchia biancheria, usata da gente della montagna che non c’è più….
Ogni progetto è in divenire, il lavoro è una storia che si autocostruisce man mano che procede. Nel caso della Porta ho iniziato a usare vecchia biancheria di famiglia per essere sicura di usare fibre al 100% vegetali che provenissero dal territorio (sono figlia di un loianese). Poi mi sono resa conto della sacralità di quel materiale vedendo le tracce corporali impresse sulla tela, è stato commovente e parlare di sacralità non è affatto esagerato: le macchie, gli aloni e le consunzioni presenti nella biancheria sono il frutto di emozioni e sentimenti che si sono materializzati e sovrapposti negli anni. Da lì, ho cercato altra biancheria presso diverse famiglie della zona in cui ho installato il lavoro e ho maneggiato con cura e devozione ogni striscia di tessuto, usare il termine sindone è stato doveroso… Anche il luogo di installazione è stato accuratamente scelto proprio per le sue caratteristiche di confine, infine ringrazio le amiche e gli amici che mi hanno aiutato nel montaggio e Luigi Marvasi che si è occupato della parte in legno, rigorosamente di castagno locale. Il loro aiuto ha impreziosito l’esperienza, lasciando un’ ulteriore impronta invisibile ma profondamente umana e positiva nel lavoro.

Come trova le fonti di ispirazione per realizzare i suoi lavori? Da dove trae spunto la sua creatività?
Ho sempre sentito l’esigenza di trovare una via per dire l’indicibile, credo che l’arte sia un modo per provarci, per provare a trasmettere molte cose usando poche parole o non usandole affatto. In fondo mettere in mostra un lavoro è un contributo offerto al mondo, che è libero di accoglierlo o rifiutarlo.

Quante opere ha realizzato a oggi? Quali sono quelle che le hanno dato maggiori soddisfazioni?
Sinceramente dopo quasi vent’anni ho perso il conto….Ho fatto molte collaborazioni e lavori accolti in gallerie e musei che mi hanno dato gioia e soddisfazioni. Curiosamente il lavoro che suscita più stupore e incredulità l’ho nella parete di casa, è un arazzo del 2009 in tessuto tagliato a forbice. Diciamo che all’aperto ho fatto pochi lavori ma sono molto affezionata ad una copertina di fili d’erba lavorata ad uncinetto realizzata nel 2014 per Cuore di Pietra a Pianoro. Ovviamente si è trasformata in humus, ma restano le fotografie.

Qual è la sua idea di armonia fra i due mondi, quello dell’uomo e quello della natura?
Noi umani siamo fatti di acqua, ferro, potassio, calcio, ossigeno ecc. Siamo biodegradabili come una pianta o un pezzo di roccia, solo che ce lo dimentichiamo. Ricordandolo, il resto dovrebbe venire da sé. Obiettivamente il buddhismo ce lo ricorda più spesso, le religioni monoteiste molto meno.

Parliamo della sua opera per Bologna Montana Art Trail, La Porta delle Sindoni. C’è una motivazione dietro la scelta di questo materiale? Quale messaggio ha voluto mandare a chi osserva il suo lavoro?
I messaggi vorrebbero essere tanti, poi ognuno legge il messaggio di cui la propria sensibilità è capace. Le tele di cotone, lino e canapa che ho usato per la Porta sono fibre nobili che non hanno nulla a che vedere con le terribili fibre sintetiche di cui ci ricopriamo. Sono certa che quelle tele non sarebbero mai finite nel deserto di Atacama come rifiuto tessile. Tento sempre di trovare un linguaggio che tenga assieme le cose che amo: fili, aghi, intrecci, mondo vegetale, mondo spirituale, mondo degli affetti : le cose più diverse possono trovare un’armonia.

A cosa sta lavorando ora?
Sto cercando di sviluppare un’idea per un progetto che parla di distanze siderali tra astri e pianeta terra, poi un piccolo progetto per l’8 marzo su donne, fiori e artigianato al borgo di Colle Ameno a Sasso Marconi.