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Bologna Montana Art Trail: Aldo Pallaro. Con la mia arte do voce all’anima degli alberi.

Intervista di Anna Magli ad Aldo Pallaro, artista e scultore.

Continuiamo a conoscere gli scultori che hanno arricchito, con le loro opere, BOLOGNA MONTANA ART TRAIL, il percorso di 100 km in continua evoluzione, dove selezionati artisti realizzano opere di Land Art avvalendosi di materiali prevalentemente naturali, come alberi, rami, sassi, terra ed altro. Le opere sono e saranno installate in modo permanente lungo il percorso con l’intento di realizzare nell’arco di alcuni anni una galleria a cielo aperto costellata di decine e decine di opere di Land Art.  L’incontro di oggi, con Aldo Pallaro, autore dell’arpa monumentale alta oltre 4 metri, realizzata in cedro libanese: un’opera denominata  “III e IV corda rossa”  installata a Rio Maore, un suggestivo luogo nel territorio di Monzuno. Una scultura viva, di cui parleremo in questo articolo, che ha la caratteristica di prendere vita quando il vento attraversa il bosco dove è collocata.

L’intervista ad Aldo Pallaro non seguirà il consueto schema domanda e risposta. Parlare con questo incredibile artista, permeato di una sensibilità travolgente, significa seguire come in un viaggio il flusso dei suoi pensieri, ed essere trasportati in un mondo di bellezza e meraviglia. Per questo “racconteremo” Aldo Pallaro basandoci su un lungo colloquio in cui ci ha aperto le porte al suo mondo e alla sua anima.

Aldo Pallaro nasce in provincia di Padova da una famiglia contadina e fra i suoi primi ricordi c’è il filò. Si chiamava “filò” quel momento della giornata in cui i contadini potevano finalmente ritagliarsi un attimo per loro, per stare in compagnia, per riposare e soprattutto per raccontare. Il filò si svolgeva la sera, solitamente nelle stalle con le mucche e i vitelli perché quello era il luogo più caldo di tutti e il fiato delle bestie contribuiva a rendere confortevole l’ambiente. Vi partecipavano tutti, donne, uomini e bambini e mentre gli animali mangiavano o riposavano partiva il filò. Un momento che ha significato per Pallaro il primo approccio all’arte della scultura perché durante queste veglie, mentre gli altri raccontavano,  il papà e il nonno di Aldo realizzavano con il legno manici per gli attrezzi agricoli, azzardando anche piccole decorazioni. Un retaggio antico quindi, che ha trovato una sua modalità di espressione nel tempo quando, accertato che dipingere e disegnare non era il suo forte, Pallaro ha compreso che quello che gli dava più soddisfazione era “scavare” nel legno, con qualsiasi strumento gli era possibile farlo. All’epoca, infatti, Aldo non possedeva sgorbie ma solo un vecchio cacciavite arrugginito del nonno, che aveva adibito allo scopo. Erano i primi esperimenti, ispirati dalle figure prese dal libro di storia, dalle illustrazioni di sculture e mosaici bizantini. Tentativi non proprio riusciti,  che però hanno contribuito ad allenare la sua manualità. Dopo le scuole medie, forte di questa inclinazione artistica, Pallaro inizia l’Istituto d’arte ma non completa il percorso scolastico per necessità familiari che richiedevano il suo contributo. Dopo il periodo di leva decide di iscriversi all’Accademia di Belle Arti che frequenta solo per due anni. Trova poi lavoro come designer in un’azienda di arredamento, un’attività che gli permette di coltivare la sua vena artistica .  L’ingerenza che spesso interferisce sul suo lavoro, lo porta però a scegliere di lasciare l’azienda e abbandonare per 12 anni qualsiasi attività artistica per dedicarsi a nuovi impieghi e alla famiglia. Alla morte del padre, Aldo ritrova tutta la potenza della sua vena artistica che lo porterà a creare in modo ininterrotto per 25 anni. L’ispirazione nasce dall’osservazione della natura, dall’immaginare nuove forme, figure e immagini, che scaturiscono da una radice o da un tronco. La prima ispirazione, quella che genererà il nuovo fecondo flusso creativo, sono quattro radici di robinia. Il suo interesse si indirizza verso un’idea diversa dell’arte. Il legno, con le sue morfologie, gli suggerisce figure da realizzare ma anche  un continuo processo innovativo nella loro interpretazione.  Si cimenta poi in una scultura puramente figurativa realizzando su legno ritratti dei suoi familiari al fine di cimentarsi in nuove esperienze creative: un filone che gli avrebbe dato molte opportunità di lavoro ma che è rimasto limitato ad una sua esperienza intima, personale. Individua come fonte d’ispirazione per la sua espressione artistica  il tema religioso e quello sociale. L’opera più significativa che realizza in quel periodo, è una grande scultura che rappresenta la prospettiva che sperimenta un bambino davanti ad una tavola apparecchiata: l’obiettivo è comunicare la percezione dell’infanzia del mondo degli adulti.  Il bambino è l’artista stesso che cerca di riportare alla memoria com’era la sua visione del mondo quando era piccolo, come tutto gli sembrava grande, immenso e di come  gli adulti non fossero consapevoli di come tutto questo fosse sproporzionato alle capacità del bambino. Un’ opera contraddittoria, di doppia interpretazione: la dolcezza della memoria e la percezione delle difficoltà di crescere. Questa scultura, che troverà collocazione in un ospedale, ha lo scopo di aiutare i bambini ricoverati a relazionarsi con le difficoltà delle malattie senza mai abbattersi. Un invito a prendere esempio da questo bambino, a non farsi spaventare dalla realtà ma imparare a superare le difficoltà che la vita ti mette davanti . Un’opera senza precedenti che verrà acquistata  dalla regione Friuli Venezia Giulia.  Nessun albero è mai stato appositamente tagliato per realizzare le sculture di Pallaro. Lo scultore segue il rumore delle motoseghe per andare a recuperare il suo materiale,  alberi predestinati all’abbattimento a cui sarà riservata una nuova vita. Pallaro nutre grande interesse per quello che rivelano le sezioni degli alberi, le risultanze di quei tagli inclinati, appositamente studiati prima di azionare la sega. Effettuando un taglio laterale, che apre l’albero svelandone la sua intimità, il legno mostra tutta  la sua bellezza quasi a voler invitare chi lo osservava a leggere la sua storia, il suo tempo, la sua crescita  e comprendere che non sono poi così diversi da quelli dell’uomo che li osserva.  L’arpa di Bologna Montana Art Trail ha una storia molto interessante da raccontare. Un giorno l’artista viene contattato da un giardiniere che ha avuto il compito di tagliare un grande Cedro del Libano, albero imponente che ha la criticità di avere un apparato radicale non troppo profondo e quindi quando cresce – e può arrivare anche fino a 30 metri e più – diventa instabile e pericoloso  per quello che gli sta intorno.  Altra caratteristica di questa pianta,  è quella di  sviluppare rami che crescono alla base del fusto, diventando spesso grandi quasi come se fossero un secondo tronco. Il giardiniere ha segnalato a Pallaro questo ramo-tronco invitandolo a visionarlo proprio per la sua particolarità. Una volta portato a casa, Pallaro ha pensato di tagliarlo  a metà per carpirne, come sempre lanima e l’essenza. Viste le dimensioni, ha dovuto farsi aiutare da una segheria professionale che si è trovata comunque a sua volta in difficoltà perché la conformazione a gobba del ramo non permetteva di tenerlo fermo durante l’operazione. Bloccato con degli attrezzi forgiati come mani di acciaio, si è potuto finalmente sezionarlo. Le due metà, figlie della stessa sostanza, profumavano incredibilmente di cedro. La stessa conformazione dell’arco naturale del ramo ha suggerito all’artista la migliore destinazione dell’opera che doveva necessariamente  diventare una grande arpa. L’obiettivo era dare la possibilità, a chi la visitava, di appoggiarsi con il corpo all’opera, odorarne l’essenza e appoggiare l’orecchio al legno per coglierne la voce e leggere la storia dell’albero attraverso le venature emerse durante la sezione del ramo. Un’opera altamente sensoriale. Ha quindi “accessoriato“  le due sezioni del ramo con delle corde che hanno amplificato il rumore del legno in un’ulteriore espressione artistica, quella della musica. L’arpa di Monzuno ha un suono particolare, basta muovere delicatamente le corde, appoggiare l’orecchio al legno nudo per sentire le note musicali riecheggiare, forti, vibranti. Ma l’interpretazione più emozionante è quella provocata dal vento fra gli alberi del Rio Maore, che muove le corde con la sua mano invisibile provocando una cascata di note casuali ma nello stesso tempo armoniche, come se fossero la voce del bosco . 

Per Pallaro la land art non deve per forza essere figurativa  ma piuttosto lasciare che siano le persone a dare un’interpretazione delle sue espressioni: così come accade per l’arte astratta.  La land art non figurativa richiede molto impegno e quindi non è così popolare. Eppure “comprendere” un’opera non è così importante, la presenza di un’immagine definita e leggibile , la mano dell’artista non sono così fondamentali.  Chi visita un sentiero o una location con opere di land art deve essere “pronto a tutto”.  Deve aprire la mente, fare questo sforzo, per vedere la bellezza della natura.  Per Pallaro un’opera di land art deve essere apprezzata non solo per quello che rappresenta ma soprattutto per la sua anima, per quella realtà racchiusa nello stesso materiale che la compone.  Nelle sue opere l’artista vuole che l’albero sia protagonista, per tutta una serie di ragioni fra cui quella, essenziale, che l’albero è un nostro antenato.  Che viene da sempre prima di noi.  Da anni Pallaro lavora per entrare nell’intimità dell’albero, forse anche per trovare  se stesso. Cerca la luce all’interno del fusto, per vedere fra gli anelli, le striature, le scalfitture del legno come si sviluppa la vita della pianta.  Gli scienziati, i botanici gli hanno spiegato che i processi di crescita degli alberi sono molto complessi, alcuni ancora sconosciuti. La stessa architettura idraulica degli alberi è qualcosa di estremamente  articolato, paragonabile al nostro sistema vascolare.   Gli alberi sono molti simili agli uomini. Il legno è materia viva, con la stessa dignità umana. Le sculture di Pallaro sono una ricerca che l’artista compie dentro lo stesso legno. Attraverso le sue sculture Pallaro vuole invitare chi guarda, ad ammirare la bellezza della materia vista al suo intimo, possibilità che viene offerta grazie alla tecnica di taglio che l’artista adotta per la sua opera.  Secondo l’artista  guardare con attenzione quel legno nudo è una rara possibilità di vedere quella luce del sole che l’albero cattura con le sue foglie e che nasconde alla vista dell’uomo con la corteccia che lo protegge.  Questo è il valore aggiunto della sua opera: l’opportunità di scrutare l’intimo, il mondo segreto di quella pianta che si è fatta arte.