L’Appennino, ricco di risorse naturali ed ambientali, può trasformarsi in un’enclave produttiva
di alto valore paesaggistico e turistico.
Intervista di Anna Magli Zandegiacomo a
Marco Mastacchi: Consigliere Assemblea Legislativa Regione Emilia-Romagna.
Marco Mastacchi. Consigliere Assemblea Legislativa Regione Emilia-Romagna, fa parte di tutte le commissioni fra cui quella di Territorio, Ambiente, Mobilità. Dal 2009 al 2019 è stato sindaco del Comune di Monzuno e attualmente è anche consigliere comunale a Sasso Marconi (capogruppo d’opposizione). Dal 1995 al 2009 è stato consigliere di minoranza sempre a Monzuno, mentre dal 2014 al 2019 è stato presidente del Distretto sociosanitario dell’Appennino bolognese. Ha ricoperto diversi incarichi all’interno di istituti bancari e cooperative agricole, diffondendo poi il suo impegno nel volontariato.
Lei ha spesso fatto interrogazioni sullo stato dell’arte di alcune situazioni a rischio di dissesto idrogeologico, come il versante a monte del lago di Castel dell’Alpi. Quali sono, secondo lei, le situazioni di maggior pericolo nel nostro Appennino e cosa si sta veramente facendo per porvi rimedio?
Al netto delle situazioni di frane già attive, come ad esempio quella di Castel dell’Alpi e quella sulla Val di Setta che ha interrotto la viabilità della SP325 dall’aprile 2019, credo di poter affermare che la problematica più importante da affrontare sia sicuramente quella legata alla prevenzione.
Sono tantissime le frane quiescenti che mettono a rischio la stabilità del nostro bel territorio. Credo sia necessario passare da un approccio di emergenza, come quello adottato sino ad ora, con il quale si interviene sempre e solo quando le frane hanno già fatto disastri, ad un approccio di prevenzione, attraverso interventi che possano prevenire fatti dannosi.
I nostri boschi sono da secoli fonte di sostentamento e, nei tempi moderni, svolgono la vitale funzione di polmone nell’assorbimento dell’anidride carbonica. Quale è il loro stato di manutenzione e cosa è cambiato dopo la fusione del corpo delle Guardie Forestali con l’Arma dei Carabinieri?
Nel secolo scorso i boschi erano parte integrante del ciclo produttivo delle numerose aziende agricole che popolavano l’Appennino, erano manutenuti e lavorati, fornivano legna per l’inverno e frutti per nutrire sia gli uomini che gli animali. L’abbandono e l’incuria di questo territorio può causare danni gravi, può, ad esempio, essere soggetto a frane importanti.
I carabinieri Forestali svolgono bene il loro ruolo che però, purtroppo, è solo di controllo. Credo che sarebbe necessario attivare politiche che consentano all’uomo di tornare ad essere attivo nella manutenzione del territorio, proprio come avveniva in passato.
Recentemente si è svolto a Castiglione dei Pepoli e Vergato “Futurando” un incontro fra amministratori ed esperti per raccontare le opportunità lavorative ai giovani per non abbandonare l’Appennino. Cosa si sta facendo a livello regionale su questo tema e quali sono, secondo lei, le modalità per attirare i giovani sui territori dell’Appennino e fare in modo che lo tornino a popolare e a restaurare tutta quella serie di attività agricole e artigianali che sono state abbandonate?
Prima di tutto servirebbero regole meno ideologiche e più concrete, sono necessarie politiche realmente incentivanti e di integrazione al reddito per consentire ai giovani agricoltori di potersi insediare in montagna. La prossima programmazione dei fondi per lo sviluppo rurale (2021 – 2027), in fase di pianificazione nei prossimi mesi, potrà dare sicuramente un grande aiuto per verso questa direzione. E’ un’occasione da non perdere e gestire al meglio.
C’è una rinnovata spinta da parte della popolazione urbanizzata a ritornare a vivere in Appennino, grazie anche all’opportunità del lavoro in smartworking. Lei ritiene che i principali paesi del nostro appennino siano in grado di assorbire un aumento della popolazione? I servizi sociali sono sufficienti, adeguati e soprattutto quelli sanitari, gli ospedali, la loro effettiva operatività è, a suo parere, idonea a soddisfare un eventuale nuovo flusso migratorio?
In linea generale il territorio è pronto a ricevere nuovi cittadini che arrivano dalla città. Ci sono comunque alcuni settori sui quali occorre intervenire. Il primo tema da affrontare è certamente quello della connessione veloce, indispensabile sia per la quotidianità e, in particolare, per il lavoro agile; il piano regionale prevedeva che già dal 2019 ci fosse un’infrastruttura sufficiente per poter garantire un buon servizio, ma i ritardi non sono mancati e ora è necessario e indispensabile accelerare e completare quanto ancora non realizzato in tal senso. Il secondo tema è quello dei servizi sanitari, perché gli ultimi due anni ci hanno insegnato (ammesso che ne avessimo bisogno) che la sanità deve essere di prossimità. I decisori politici lo hanno capito bene e credo che con i cospicui fondi in arrivo dall’Europa (PNRR) questo sarà fattibile senza grosse difficoltà.
Il lockdown e le norme restrittive sui viaggi hanno favorito il turismo locale e molti hanno riscoperto l’Appennino tosco-emiliano. La Via degli Dei, la Flaminia ed altri itinerari hanno dato la possibilità a molti piccoli centri di diventare meta di un nuovo turismo, favorendo lo sviluppo di bed&breakfast e ristoranti. Lei ritiene che l’Appennino possa sviluppare anche un turismo più internazionale e quali sono le eccellenze che possono o potrebbero essere in grado di ampliare il bacino turistico?
Oggi gran parte dei turisti che passano lungo i cammini, come ad esempio la Via Degli Dei, provengo dall’estero e questo ha già dato un grande impulso ai nostri territori. Molto si deve però ancora fare, in particolare su due fronti: aumentare e migliorare l’offerta e i servizi e continuando a lavorare sulla promozione delle offerte turistiche. Anche in questo caso, oltre al lavoro indispensabile dei privati sul tema offerta-servizi, sono gli enti pubblici a rappresentare un ruolo decisivo nella promozione turistica.
Iniziative di sensibilizzazione all’ambiente e a comportamenti sostenibili, passando anche dallo sport, come quelli messi in campo da Viva il Verde nell’ambito del Festival dell’ambiente e della sostenibilità, come si integrano nella politica di rivalutazione del territorio appenninico?
Viva il Verde in questi anni ha svolto un ruolo importante, in particolare realizzando progetti di valorizzazione e sviluppo del territorio con incontri, attività sportive all’aria aperta, eventi e iniziative atte a responsabilizzare la comunità nei confronti della tutela dell’ambiente. Credo che in futuro Viva il Verde possa diventare un attore fondamentale per i nostri territori, in un processo evolutivo che la porti, come già sta accadendo, dal volontariato attivo ad un ruolo più strutturato che possa anche avere funzione di promozione e di fornitura di servizi. Questa emancipazione, che è già in atto, gli consentirebbe di poter diventare un interlocutore importante per le istituzioni locali e di altri territori.