Storia di un architetto che faceva la fotografa
a Milano e ha scelto una delle valli più belle
del nostro Paese, per dedicarsi ad una coltivazione
rara e preziosa.
Intervista di Anna Magli Zandegiacomo a
Sara Maestrello, coltivatrice di zafferano in Valmarecchia.
Sara Maestrello nel 2012 ha lasciato la sua città d’origine – Milano – per la campagna, stabilendosi in una piccola frazione di Sant’Agata Feltria, in Alta Valmarecchia. Ha una proprietà prevalentemente boscosa, una casa di quasi 300 anni e ha affittato per la sua coltivazione un piccolo terreno in un’area dove c’è disponibilità di terreni abbandonati.
La sua attività è coltivare zafferano biologico che lavora prevalentemente in modo manuale e senza uso di alcun pesticida. Lo zafferano, o Crocus Sativus, è una pianta che ha per Sara un grande valore simbolico: piccola ma tenace, resistente al caldo e al freddo, la cui fioritura, che avviene una sola volta all’anno, è un concentrato di bellezza, aroma e proprietà medicamentose.
Nel 2012 hai lasciato Milano e hai fatto la scelta radicale di trasferirti in Alta Valmarecchia.
Come è maturata questa decisione?
Ho sentito il bisogno di scappare dalla città che mi stava esasperando. E dire che una volta mi piaceva molto vivere in città: ho vissuto a Milano, qui ho studiato e mi sono laureata in Architettura e ho lavorato come fotografa. E’ successo poi, come a molte altre persone in quel periodo, che con il mio ex compagno abbiamo deciso di cambiare il nostro stile di vita, di cercare un luogo dove vivere in campagna. E’ stato un po’ casuale trasferirsi qui, in questo terreno che abbiamo trovato all’asta nella zona di Sant’Agata Feltria a un prezzo molto basso. Forse perché era molto grande, abbandonato da anni e boscoso ma il prezzo era davvero appetibile e la zona era splendida. Non è che ci siamo trasferiti pensando di diventare agricoltori, non era quella l’idea iniziale. Poi però abbiamo sentito l’esigenza di iniziare ad informarci sulle colture, su queste terre, di formarci perché ne sapevamo davvero poco e i primi anni ho fatto la spola con la biblioteca della Facoltà di Agraria di Milano per individuare quella che avrebbe potuto essere una coltura vantaggiosa e soprattutto idonea a neofiti come eravamo noi . Ci è stato suggerito di provare con lo zafferano, una coltura semplice che non aveva bisogno di grandi investimenti a livello di macchinari ma di certi accorgimenti che anche principianti come noi sarebbero stati in grado di dedicargli.
Che tipo di coltura è lo zafferano?
E’ una spezia che si ottiene dal pistillo di un fiore, che nasce da un bulbo, per essere precisi un croco. Si raccolgono i pistilli a mano, tutto il lavoro viene fatto manualmente e non implica l’utilizzo di macchine. Si può fare su terreni anche di piccole dimensioni e richiede molta manodopera: questa è la ragione del costo elevato del prodotto finale. E’ un lavoro tutto concentrato in un mese, quello della fioritura, che è indicativamente da metà ottobre a metà novembre (anche se col cambiamento climatico si sta spostando verso la fine del mese, come in Sardegna): occorre raccogliere i fiori prima che si aprano al sole, mondarli e seccarli il giorno stesso. Lo zafferano è sempre biologico perché cresce talmente fitto e a ridosso di altre erbe spontanee che sarebbe impossibile dargli prodotti senza sterminare le piante. Inoltre, è una pianta molto rustica e resistente e quindi è difficile che si prenda qualche malattia a parte magari un fungo dovuto all’eccessiva umidità. La salute della coltivazione è condizione legata al clima e al terreno: se entrambi sono favorevoli, e vengono svolte le necessarie rotazioni, le piante restano sane. La cosa più importante è mantenere bene la coltura. Questa zona è talmente lontana dalla civiltà, senza nessun tipo di inquinamento ma anche di sfruttamento del terreno che una coltura biologica viene in automatico, è una terra che è stata a lungo abbandonata quindi ricca, generosa.
Chi ti aiuta in questo lavoro?
Ho iniziato ospitando i wwoofer (aiutanti momentanei, viaggiatori che condividono la quotidianità rurale con chi li ospita e passano una parte della giornata collaborando nelle attività e imparando tecniche agricole sostenibili n.d.r.). Mi piace l’idea di aprire la mia casa a persone straniere con cui fare anche uno scambio interculturale. Una cosa che negli anni che mi ha arricchito molto.
Qual’ è il profilo classico del wwoofer che si impegna in agricoltura?
Sono persone molto giovani, di solito ventenni o trentenni, che magari stanno studiando e si prendono periodi di pausa. A volte capita una famiglia che viaggia con i figli. Ho ospitato una famiglia australiana, una franco-israeliana, persone che erano abituate a viaggiare per mesi e condurre questo stile di vita nomade per qualche anno. Spesso mi hanno dato anche un grosso aiuto in vari modi: dai lavori domestici a ristrutturare parzialmente la casa, visto che la mia è un’antica costruzione in pietra di quasi 300 anni e ha bisogno di manutenzione periodica. I wwoofer vengono anche per altri periodi, non solo per la raccolta. Li ospito in alcuni periodi dell’anno in cui c’è bisogno di curare la terra, o svolgere le operazioni di espianto e reimpianto dei bulbi, lavoro che fare da sola diventerebbe molto pesante. Nell’ultimo anno di pandemia, per esempio, ho sospeso la disponibilità all’accoglienza e ho fatto quasi tutto da sola ma è stato molto impegnativo. In primavera, ad esempio, c’è da falciare e ripulire dalle erbacce il terreno. In estate, nel periodo di rotazione, che si tiene ogni tre anni, i bulbi devono essere spostati in un altro terreno per mantenere una coltivazione sana. Un lavoro molto faticoso in cui apprezzo tanto il loro aiuto.
Chi acquista lo zafferano riesce a comprendere perché ha un prezzo così alto, il lavoro che c’è dietro?
Bisogna spiegarglielo perché abituati a prendere quello in polvere al supermercato – che ovviamente non è puro ma tagliato mentre io vendo i pistilli interi –non si rendono subito conto. Molti addirittura non lo hanno mai usato. Ovvio poi che appena ne sentono il sapore e vedono il colore che assumono i cibi si rendono conto di essere davanti a una cosa completamente diversa. Ho pochi canali di vendita: direttamente ai privati con il passaparola o con i gruppi di acquisto solidale.
Il tuo bosco è produttivo?
No, il bosco non ha alberi da frutto; originariamente era in parte un bosco da legna e in parte terreno seminativo, ma con l’abbandono il bosco naturale si è esteso. L’idea iniziale era di avere un bosco, proteggerlo e usarlo ai fine turistici. Un progetto che ho accantonato a favore di quello dello zafferano. Purtroppo ci sono molti cacciatori che per 4 mesi all’anno possono venire a cacciare nei terreni privati All’inizio la cosa mi preoccupava poi siamo arrivati a un compromesso. Dato che vivono nel paese accanto ho capito che l’unica soluzione è mantenere buoni rapporti per cui quando sanno che stanno per fare una battuta un po’ più estesa mi avvisano e io mi regolo. Fanno anche un servizio per la comunità perché tengono pulite tutte le mulattiere che attraversano i terreni. Non amo la caccia ma sono arrivata a convivere con queste presenze. E conoscendoli mi sono resa conto che è nella loro cultura, un retaggio talmente tradizionale che viene dai loro nonni e che si trasmette da generazioni .
Torneresti indietro alla tua vita di prima?
No, non sarei più in grado di vivere in una grande città. Dopo aver provato questo tipo di vita sarebbe impossibile. A parte i periodi in cui il lavoro è al culmine e bisogna correre, il resto dell’anno posso gestire i miei tempi e per me questo è impagabile. Seguire i miei interessi, le mie passioni, stare con mia figlia. A Milano non avrei mai pensato di avere un figlio e invece qui mi piace l’idea che cresca in una piccola comunità dove tutto è più semplice, c’è empatia, solidarietà. Questo anche se vivo isolata. Paradossalmente mi sentivo più isolata a Milano che qui, dove per sei mesi l’anno il mio vicino di casa più prossimo è a due chilometri.