Inside The Green
Intervista di Anna Magli Zandegiacomo a
Marcello Petitta, fisico, meteorologo,
ricercatore dell’ENEA
Laurea in fisica e dottorato di ricerca in ingegneria aerospaziale, Marcello Petitta, ricercatore dell’ENEA, vanta un’esperienza lavorativa di 21 anni trascorsi nel campo della ricerca applicata alla fisica dell’atmosfera e del clima sia in università che in diversi enti di ricerca. Negli ultimi anni il mio lavoro si è concentrato sullo studio della variabilità climatica e sui servizi climatici.
Esistono molte informazioni in rete sui cambiamenti climatici, alcune contraddittorie. Un paio di anni fa un gruppo di scienziati ed intellettuali della comunità scientifica italiana legata alle scienze dell’atmosfera e del clima, fra cui lei, hanno inviato un appello alle principali cariche istituzionali dello Stato per stigmatizzare una verità: il riscaldamento globale è fondamentalmente di origine antropica. Quale riscontro è stato dato a questo appello e cosa si è fatto in questi due anni, sicuramente penalizzati dall’emergenza Covid?
L’emergenza Covid ha necessariamente e giustamente spostato l’attenzione politica e dell’opinione pubblica sui temi sanitari che il virus andava a toccare e per un breve periodo l’emergenza climatica è di fatto passata in secondo piano, ritornando poi sulle prime pagine dei giornali con i drammatici eventi di quest’estate legati alle inondazioni in Germania, la siccità in Turchia, i terribili incendi in Grecia e nei Balcani e le altre innumerevoli notizie legate alla crisi climatica in atto. La lettera aperta del Prof. Buizza, che io ho sottoscritto insieme ad altri colleghi, aveva lo scopo di riportare la discussione sull’emergenza climatica a livello scientifico e politico impedendo alla narrazione promossa dai negazionisti climatici, basata su false speculazioni, di venire considerata come una possibile opzione per le decisioni che devono essere prese a livello istituzionale. Il clima sta cambiando e lo sta facendo a causa delle attività umane. Non è un’opinione, è il risultato di lavori e studi scientifici provati e verificati. Questi fatti sono stati studiati e confermati della comunità scientifica climatica globale. Le rarissime voci che dicono il contrario non hanno una credibilità scientifica e non possono essere considerate scientificamente rilevanti.
Possiamo dire che una variabilità climatica di origine naturale che influenza il riscaldamento globale la cui origine, come ben sappiamo, è dovuta all’emissione dei gas serra? Come interagisce la variabilità climatica naturale con quella antropica? Ci può fare qualche esempio?
Dobbiamo chiarire immediatamente che i cambiamenti climatici sono fenomeni naturali e sono sempre accaduti in passato. Le analisi eseguite su carotaggi, che ci mostrano la variabilità climatica di diversi millenni fa, ci suggeriscono, che le variazioni naturali avvengono con tempi molto lunghi, dai secoli ai millenni. Negli ultimi decenni però si è osservato, per la prima volta, un forte aumento della temperatura media del pianeta di circa 1 grado, concentrato soprattutto nelle alte latitudini. La crescita si è ulteriormente accelerata negli ultimi 30 anni. L’aumento globale di temperatura, a sua volta, induce effetti in cascata, molti dei quali li stiamo già vivendo. La differenza rispetto al passato è la velocità con cui questi cambiamenti stanno avvenendo e questa velocità è in diretta relazione a come l’energia presente in atmosfera viene liberata e immagazzinata.
Gli scienziati sono ormai in accordo sul fatto che l’incremento osservato nella temperatura globale media sia dovuto all’aumento della concentrazione atmosferica di gas serra, come anidride carbonica e metano, dovuti alle attività dell’uomo, come anche ribadito nell’ultimo rapporto IPCC. Questi gas amplificano il fenomeno naturale conosciuto come effetto serra, ovvero la capacità del pianeta di trattenere, sotto forma di calore, parte dell’energia proveniente dal Sole. La massiccia immissione dei gas serra da parte dell’uomo per le attività dell’uomo in atmosfera è iniziata con la rivoluzione industriale. I gas serra immessi nell’atmosfera sono soprattutto generati dall’utilizzo di combustibili fossili per attività economiche e produttive. Anche l’agricoltura e l’allevamento contribuiscono in modo estremamente rilevante alle emissioni. Dall’ultimo dopoguerra, le osservazioni climatiche hanno rilevato una ulteriore accelerazione nella crescita in atmosfera della concentrazione di gas serra, dovuta al modello di sviluppo economico che caratterizza tutt’oggi molte delle economie mondiali.
Cosa è cambiato rispetto a due anni rispetto a quello che voi definite “ business ad usual”, cioè l’assenza di politiche di riduzione di gas serra? C’è stato qualche miglioramento o segnale di condivisione per le vostre preoccupazioni?
Negli ultimi anni, sia a livello europeo sia a livello nazionale sono stati fissati dei traguardi per diminuire le emissioni sia in ambito industriale che in ambito domestico. L’effetto che queste politiche avranno non lo possiamo vedere nell’immediato. I gas serra permangono nell’atmosfera per un periodo molto lungo e la velocità con cui vengono rimossi è estremamente lenta. Per tale motivo, se anche si interrompessero tutte le emissioni umane di gas serra, la situazione climatica rimarrebbe inalterata per un periodo di tempo relativamente lungo
La climatologia ha avuto negli ultimi anni uno sviluppo che condiziona i processi decisionali in molte attività economiche. I raccolti rovinati, i danni a edifici e infrastrutture dovuti al meteo impazzito. E’ già possibile definire modelli di previsione che elaborino informazioni per quantificare in anticipo e magari prevedere ed evitare possibili danni economici e rischi?
La fisica dell’atmosfera, la meteorologia e la climatologia hanno sviluppato nel tempo diversi modelli predittivi che hanno lo scopo di identificare e prevedere la situazione meteorologica e climatica di una certa area. Questi modelli sono sempre più accurati e coprono diversi intervalli temporali: tutti noi conosciamo le previsioni meteorologiche per i prossimi giorni. Accanto a queste, si stanno sviluppando previsioni stagionali e mensili, molto utili, per esempio, per la gestione della produzione agricola. Stiamo anche raffinando sempre di più i cosiddetti scenari climatici che sono modelli che ci permettono di fare stime accurate del clima futuro fino ai prossimi 100 anni. Attenzione: questi modelli non ci dicono se a Bologna pioverà o farà caldo il 12 Agosto del 2053, ma ci indicano quali sono le tendenze di temperatura, precipitazione e altre variabili a livello globale, continentale e anche regionale.
In un continente che ha una forte vocazione agroalimentare come l’Europa soprattutto nei paesi di fascia mediterranea, quanto è coinvolta la nostra CEE nell’adozione di questi “Servizi climatici” per salvaguardare i raccolti, sperimentare nuove culture e tutelare gli agricoltori?
La Commissione Europea sta investendo, ed ha investito moltissimo nella creazione di nuovi servizi climatici. Anche l’Italia sta facendo molto per la loro adozione. L’idea è quella di identificare i bisogni di diversi settori produttivi, come quello agricolo, energetico e anche turistico, e fornire loro delle informazioni ad alto valore aggiunto. Immaginate di poter dire ad un agricoltore che la prossima primavera sarà probabilmente più secca del solito con un anticipo di 6 mesi. Questo permetterebbe di programmare una serie di interventi e di azioni volte a proteggere il raccolto e a diminuire il rischio di perdita.
I servizi climatici hanno quindi lo scopo di identificare insieme a tutte le attività produttive della nostra società, delle linee di intervento che portino a proteggere i diversi settori dal rischio climatico.