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“Ha sempre fatto caldo”. Falsi miti sul cambiamento climatico.

Intervista di Anna Magli a Giulio Betti, meteorologo e climatologo.

Entro 20 anni il meteo estremo sarà un problema per tre quarti dell’umanità Inondazioni, siccità, incendi, ondate di calore e di freddo sono destinati a farsi sempre più comuni a causa dei cambiamenti climatici. E saranno sempre più persone a farne le spese. Un nuovo studio del Center for International Climate Research (Cicero) norvegese, pubblicato su Nature Geoscience, prevede infatti che nei prossimi 20 anni gli eventi meteo estremi potrebbero diventare molto comuni in un’ampia porzione del nostro pianeta, dove attualmente abita il 70 percento dell’intera popolazione umana. Eppure c’è ancora chi non è convinto. Anche davanti alle inondazioni causate dalle pogge anomale,  come quella che si è velificata recentemente in Emilia Romagna, la terza nel giro di cinque anni, c’è chi ancora nega che il meteo sia soggetti ad eventi estremi e imprevedibili  e l’evidenza che qualcosa sta cambiando.  Ne parliamo con Giulio Betti, meteorologo e climatologo presso l’Istituto di Biometeorologia del Cnr e il Consorzio LaMMA.

Nel suo libro “Ha sempre fatto caldo” uscito per Aboca edizioni, lei smaschera le più grandi bugie e leggende metropolitane sul cambiamento climatico, quelle che in vent’anni di esperienza ha avuto modo di raccogliere. Perché la gente non vuole credere che qualcosa sta cambiando?
Non tutti: in realtà si tratta di una minima parte della gente perché la maggior parte delle persone, magari in maniera silente, sono assolutamente consapevoli che il cambiamento climatico esiste e che sia l’uomo ne la causa principale . Poi c’è questa minoranza, molto chiassosa, che non è convinta. Sono convinto che la maggior parte delle persone scettiche, che nega il cambiamento climatico, lo faccia principalmente perché è spaventata da qualcosa che possa minare  la loro quotidianità, il loro modo di vivere. Paura di dover prendere decisioni collettive, non individuali, che possono turbare la loro vita. Più  il clima cambia, più queste persone si irrigidiscono e non accettano una verità che per molti non è facile da accettare. All’interno di questa minoranza, c’è poi un’ulteriore minoranza, un po’ più “furbacchiona” che magari conosce benissimo il tema , sa che esiste il  problema,  ma fa finta di non vederlo per interessi di vario genere. 

Qual è la più pericolosa tra queste leggende metropolitane? Quella che secondo lei può fare più presa e più danni?
Sicuramente c’è quella di affermare che  “Ha sempre fatto caldo”,  come il titolo al libro. Un modo per normalizzare l’anomalia , commentando con  indifferenza eventi estremi e giustificandoli con il fatto che “ci sono sempre stati” magari facendosi forti di alcuni ricordi personali che non sono per niente oggettivi. La meteorologia,  a differenza di altre aree tematiche presenti nella vita di tutti i giorni, tocca il nostro sentire in prima persona, fa parte del nostro vissuto, quindi il ricordo di un’ondata di freddo o di un’’ondata di caldo”, magari  di 40 anni fa, rimane indelebile. Chi usa questo bias mentale relativo alla propria  memoria climatica , crea una falsa idea di come stanno veramente le cose.  La percezione del cambiamento climatico, non è una sensazione individuale ma un dato oggettivo. Un altro esempio di leggenda da sfatare è questo falso mito che l’anidride carbonica sia il cibo delle piante, che non è un gas pericoloso ma anzi, di grande utilità. Anche in questo caso si genera un equivoco perché si tratta di una mezza verità. L’anidride carbonica è un gas fondamentale per la vita e per la temperatura,. Senza anidride carbonica la Terra avrebbe una temperatura media di -18 gradi.  Il problema è che, come in tutte le cose, l’eccesso crea l’effetto contrario, soprattutto se l’aumento dell’anidride carbonica è rapido  e non graduale, come invece avveniva in passato. L’anidride carbonica è stata un drive primario del cambiamento climatico. Mettere in discussione la pericolosità del suo aumento incontrollato è un’informazione sbagliata.

Secondo lo studio che abbiamo citato, la velocità con cui temperature e precipitazioni estreme si diffonderà dipende fortemente dalle misure che saranno messe in campo per limitare le emissioni di gas serra. Siamo ancora in tempo o abbiamo passato il punto di non ritorno?
Siamo certi che non  riusciremo a mantenere le temperature entro il protocollo di Parigi che mira a limitare il riscaldamento globale di sotto a 2°C e a proseguire gli sforzi per circoscriverlo a 1,5°C. Da quel punto di vista possiamo già dire che abbiamo fallito l’obiettivo. Tuttavia, abbiamo ancora buone possibilità di mantenere la temperatura entro i 2°C , anche se quel mezzo grado significano tanti effetti indesiderati che dovremmo affrontare. Più aumenta la temperatura più aumenteranno i costi economici e sociali per potersi adattare al nuovo clima. Al momento abbiamo  tutti i mezzi per contenere la temperatura entro i 2°C; se non riusciamo a fare almeno questo, stanti le attuali politiche,  entro il 2100 c’è il rischio di arrivare ai 3°C, come già prospetta l’Organizzazione meteorologica mondiale. Sarebbe veramente un disastro. 

Per affrontare quello che è ormai irreversibile del cambiamento climatico, dovremo comunque modificare  le nostre abitudini e, come scrive lei nel libro, adattare le nostre città. Che cosa intende?
Per spiegarlo meglio faccio un esempio parallelo. Come noi ci adattiamo alle temperature  cambiando abbigliamento, le città andranno “vestite”, adattate ad esempio, alle ondate di calore. Per mitigare queste ondate bisogna intervenire alberando le nostre città in modo razionale. Gli alberi sono formidabili strumenti per abbassare la temperature delle superfici . Oppure creare dei “punti freddi” per dare sollievo, che non sono certo i  centri commerciali  ma aree di aggregazione che permettano ai soggetti fragili di riuniersi in un ambiente confortevole durante el ore più calde della giornata.  Aumentare i distributore di acqua per rinfrescarsi, come le fontanelle, aumentare le superfici riflettenti bianche  che diminuiscono la temperature dei muri e dei tetti.  Queste solo alcune delle strategie che si possono mettere in campo  per abbassare la temperatura media delle città e renderle più resilienti al cambiamento climatico. Un lavoro che non deve essere fatto solo sulla città ma anche nei dintorni: un esempio è rinaturalizzare i corsi d’acqua intorno alla città  in modo tale che le alluvioni lampo diventino meno impattanti dove  l’acqua scorre in maniera rettilinea. 

Secondo le previsioni, nei  prossimi 20 anni il 20 percento della popolazione umana si troverà a vivere esposta a frequenti eventi meteo estremi che oltre a danni economici avranno anche ripercussioni sulla salute…Quali?
Le ripercussioni principali a oggi sono le vittime e i ricoveri causati dalle ondate di calore. In Europa le ondate di calore sono, con il 93% di incidenza,  la prima causa di morte  per eventi metereologici. Soltanto nel 2022 sono morte 60 mila persone in Europa per le ondate di calore. Il caldo contribuisce alla morte di molte persone fragili che non hanno modo di difendersi dal caldo come le categorie a rischio.  Spesso di tende a ritenere  che il  maggior numero di vittime sia attribuibile alle alluvioni ma è sbagliato: sono le ondate di calore le responsabili di decine di migliaia di vittime.  Le alluvioni invece sono quelle che provocano il maggior numero di danni materiali: il numero di vittime legate alle inondazioni negli ultimi decenni è diminuito notevolmente perché abbiamo imparato a difenderci meglio, abbiamo instaurato sistemi di allerta e altre modalità di prevenzione.  Dal caldo ci si difende molto peggio

Le scrive che “esiste un mondo che cresce e propone soluzioni, atteggiamento che molto infastidisce chi non vuole affrontare il problema”. Chi è che non vuole affrontare il problema?
Bene o male, con modalità diverse, più o meno efficaci, è nell’interesse di tutti affrontare il problema. Ne va della nostra sopravvivenza.  Poi c’è la galassia delle aziende denominate “Big oil”, che estrae petrolio, che produce energia con il petrolio o con i combustibili possibili, realtà economiche enormi, che fatturano cifre inimmaginabili. Questi colossi,  non credo abbiamo molto interesse ad accelerare il processo di transizione ecologica.  Parliamo di un business consolidato che con le prime 25 “Big oil” mondiali  che hanno prodotto nel  2023,  5 mila miliardi di fatturato .  Quando si va intorno a questi interessi, a destabilizzare questi business, non tutti hanno interesse ad una transizione rapida.

Tornando al suo libro, “ Ha sempre fatto caldo”, l’allarmismo e il negazionismo possono ostacolare una risposta efficace al cambiamento climatico. Che cosa intende per “normalismo”?
Il normalismo è attribuibile a quelle persone che non smentiscono il cambiamento climatico, come fanno i negazionisti, anzi lo riconoscono, ne affermano l’esistenza, propendono a pensare che l’uomo ne sia la causa ma, e questa è la cosa grave, ritengono che tutto sommato questo non causi problemi. Tendono cioè a normalizzarne, pur ammettendone la presenza e le responsività umane,  gli effetti.  Ondate d calore, alluvioni, cataclismi vari secondo loro rientrano nel normale corso delle cose, ora come in passato, e sono quindi da accettare come eventi normali. Dove è il problema? Normalizzare un’evidente criticità per renderla più digeribile e quindi ritardarne la soluzione, omette quello che potrà succedere in  futuro e non guarda razionalmente a cosa è successo in passato, assumendo un atteggiamento possibilista ed impedendo qualsiasi azione risolutiva. Non si può normalizzare un problema: un problema va affrontato.  A livello mediatico è molto difficile trovare posizioni equilibrate in questo senso.  Nel libro sottolineo che il problema è enorme: il cambiamento climatico è “IL” problema globale più importante da sempre. 

Abbiamo un nemico comune a tutti gli abitanti della terra, ne conosciamo le cause, sappiamo come risolverlo  ma non siamo pronti ad affrontarlo collettivamente nel modo dovuto. Quello che deve passare a livello mediatico  è che col catastrofismo non si arriva da nessuna parte  perché invece di reagire si tende a lasciare andare. Non si può neanche fare del negazionismo perché la realtà è sotto gli occhi di tutti. Ci vuole un atteggiamento rigoroso e realista.  Contrariamente al catastrofista che nega qualsiasi soluzione e al negazionista che dice che il problema non esiste,  il realista prende atto della vastità e gravità del problema ma sa che è anche  necessario affrontarlo subito, senza procrastinare ulteriormente, per non farlo davvero diventare ingestibile.