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Bologna Montana Art Trail: Stefano Devoti. Una scultura per sublimare la raccolta del miele.

Intervista di Anna Magli a Stefano Devoti, artista.

Continua ad arricchirsi il suggestivo percorso tematico di 100 km BOLOGNA MONTANA ART TRAIL dove selezionati artisti vengono invitati a realizzare opere di Land Art avvalendosi di materiali prevalentemente naturali, come alberi, rami, sassi, terra ed altro. Le opere sono e saranno installate in modo permanente lungo il percorso con l’intento di realizzare nell’arco di alcuni anni una galleria a cielo aperto costellata di decine e decine di opere di Land Art. Continuiamo a conoscere gli artisti delle nuove opere da poco installate: oggi parliamo con Stefano Devoti , nativo di Borgo Val di Taro, autore di Holy Bee. Formato da autodidatta, prende lezioni di disegno e pittura e frequenta la Scuola Libera del Nudo dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, sperimentando un percorso come rinascimentale per la ricerca sulla materia attraverso laboratori, cantieri, botteghe e lo studio di casa: metallurgia, costruzione, stampa d’arte, scultura in pietra.

Stefano tu hai una formazione mista fra autodidatta e Accademia, qual è stato il suo percorso artistico?
Come hai anticipato, al disegno e pittura come autodidatta, sono seguite lezioni private e poi la Scuola del Nudo a Venezia per due anni. Nel contempo ho praticato la carpenteria a livello professionale: grazie a queste attività ho acquisito un bagaglio tecnologico tuttora assai utile per realizzare installazioni e sculture anche di dimensioni importanti. Trovo assolutamente magico l’ambiente della bottega, una fascinazione di sapore rinascimentale alla quale ho ceduto in particolare per la metallurgia: presso il laboratorio dell’allora novantenne Maestro Bruno Serpagli tra forgia, simbologie alchemiche e saperi che si tramandano da tempi immemori  sono giunto a fondere e dare forma, in proprio, al bronzo. Ancora, per la pietra, la frequentazione delle cave di Carniglia, la produzione di sculture, anche in marmo di Carrara; una di esse è collocata nell’atrio del comune di Borgo Val di Taro. 

La tua esperienza serigrafica e xilografica come hanno influito sulla tua formazione?
La serigrafia, presso lo Studio Fallani Venezia, è stata l’ennesima folgorazione: l’incontro con Fiorenzo Fallani e il suo gentile invito a frequentare il laboratorio per apprendere la tecnica, tra una sessione di nudo ed il ritratto dal vero delle opere del Tintoretto e di Tiziano presso le Gallerie dell’Accademia. La scusante per la xilografia è stata la produzione dell’inchiostro ferro-gallico per un mostra a Compiano relativa agli Orsanti: locali ammaestratori d’orsi che viaggiavano per l’Europa a far spettacoli, portando con sé scorte di tale inchiostro preparato per la vendita. Ottenuto l’inchiostro, le lame hanno preso ad incidere spontaneamente, anche per l’eco dell’opera del maestro incisore Romeo Musa. Queste tecniche hanno arricchito di nuovi scenari il mio sentimento per l’arte, la xilografia spalanca pure sulla storia del libro, quando la serigrafia apre fino al pop e alla grafica di comunicazione di massa… c’è tutto il mondo dell’immagine in mezzo.

Fra le tue attività c’è anche l’ideazione di un processo per ottenere carta a mano dal bambù. Hai  sperimentato vari tipi di materiale?
Non c’è nessuna premeditazione in come si concatenano queste sperimentazioni: di fatto viaggio molto, incontro persone, ambienti, vengo calamitato da quello che per me è in realtà davvero irresistibile, il processo. Fatto l’inchiostro ed abile alla stampa, poteva forse mancare la creazione dello storico supporto? L’occasione per fare la carta seguì il Global Nomadic Art Project, evento di portata globale incentrato sulla Nature Art. Nel 2019 venni incaricato quale direttore da Yatoo, associazione coreana che promuove l’evento, per l’edizione italiana che ha visto gli undici artisti internazionali alle prese anche con il bambù del Labirinto di Franco Maria Ricci. Proprio lì, di fronte alle grandi installazioni realizzate, ho avuto l’idea guardare all’infinitamente piccolo, alle fibre del bambù, intrecciate in fogli di carta. Ho costruito alcune macchine dedicate e messo insieme il mio processo produttivo, sui fogli realizzati hanno stampato, oltre a me, tutti i membri della bolognese ALI, Associazione Liberi Incisori… ne sono scaturite due mostre sempre al Labirinto di Franco Maria Ricci.

Quante opere hai realizzato ad oggi?
Più di trenta, se vogliamo rimanere nel solo ambito dell’arte nella natura. Ancora una volta a Venezia ho avuto il mio battesimo con le installazioni di questo tipo. Nel 2005 al faro degli Alberoni, Landfall Art Center, legni spiaggiati e altri relitti marini costituivano gli ingredienti di un evento indimenticabile, complice la laguna e i suoi scenari inebrianti. Vinsi il premio della giuria ed un soggiorno a Lugano per un nuovo happening  di Land art.
Qualche anno in standby poi nuovi contatti e proposte progettuali in giro per il mondo; ho toccato più di una dozzina di paesi tra Europa ed Asia. In Corea del sud sono stato sei volte: negli ultimi anni attraverso la collaborazione con il direttore dello SIEAF, Kim Baekki, promuoviamo l’azione artistica presso remoti siti rurali, per l’incontro ed il coinvolgimento della popolazione; è come cercare di ricucire uno strappo culturale e generazionale in una società interessata da un vertiginoso sviluppo tecnologico. 

Qual è la tua  idea di armonia fra i due mondi, quello dell’uomo e quello della natura?
Credo sia e debba essere considerato un mondo solo. Natura non è solo quella cosa verdeggiante con magari un fiume o una marina o vette innevate, c’è un aspetto di facile romanticismo che alimenta questa dicotomia tra uomo e natura. Un complesso industriale è natura, il centro di Shangai è natura, noi siamo natura: a quale altro regno potremmo ascrivere queste realtà? Sicuramente, ad un certo punto e con impressionante progressione, abbiamo preso a corrompere i nostri spazi vitali. Se costruirci un rifugio ha rappresentato un primo passo per difenderci da aspre condizioni di vita, oggi ci ritroviamo a vivere in realtà urbane sovente ben più insidiose dei territori selvaggi. Qualcosa è andato storto o semplicemente il nostro cammino deve passare per l’attuale situazione: dal canto nostro creare opere nella natura può essere considerato anche solo un timido invito a rinunciare, che so, ai weekend in un centro commerciale. Noi stessi spesso ci spostiamo in aereo, utilizziamo motoseghe, addirittura plastica per le nostre creazioni: non credo sia questo il punto, il messaggio è più importante. Allo stesso modo credo non sia conveniente guardare agli orrori progresso tecnologico con distacco o disdegno, quando questi costituiscono il risultato, per lo più inconsapevole, dei nostri costumi.

Parliamo della tua opera per Bologna Montana  Art Trail, Holy Bee. Ce la puoi  descrivere e spiegare il suo significato?
Vorrei subito esprimere la gioia che è stata per me lavorare nella mia regione dopo tanto girovagare: a Bologna poi avevo una zia, ho dei cugini e tanti bei ricordi che al suono della dolce parlata bolognese si riaccendono tutti.
Sono stato invitato a trattare il tema delle api dato il progetto “Bee Valley Idice”, d’altro canto avevo già lavorato in questo ambito in Corea: Daniele Maestrami si è subito prodigato perché inserissi un cuore in questa opera a testimonianza dell’impegno locale per salvaguardia degli impollinatori… e cuore è stato, un cuore per me che rappresenta il sorriso e gli occhi della nostra gente, di una realtà rurale attenta e paziente che come le api offre solo il meglio di sé attraverso cibo genuino (c’è qualcosa di più importante per il nostro benessere?), lo spirito laborioso e cordiale, la sapienza di ogni gesto.
Normalmente partecipo ad eventi assieme ad una dozzina di altri artisti, anche decine di altri artisti: alla Cartiera dei Beneandanti ero “solo artist”, ho fatto la mia giusta fatica, i miei bagnetti nell’Idice, nutrito a nettare e aiutato quando di bisogno… sempre arrampicato a quella cella cresciuta in legno d’acacia, una cella solitaria che non è prigione ma uno spazio mistico dove poter sublimare quanto raccolto in questi anni.

A cosa stai lavorando ora?
Sono in partenza per il Belgio, poi Corea del Sud e Taiwan. D’inverno sarà poi il momento di elaborare nuovi progetti e preparare gli strumenti per una nuova stagione.

Ultime Opere
2024 La Musca Depicta, Labirinto della Masone, Italy.
Bridge project, Lido di Staranzano, Italy.
Le Tacot, Voyage éphémère, France.
Sentiers d’Art en Condroz-Famenne, Belgium.
Bologna Montana Art Trail, Italy.
Grandeur Nature, France.
Verein für Internationale Waldkunst, Germany.
2023 AESON, Arts in Nature, Italy.
SIEAF 2023, South Korea.
Les Trans-Humances Artistique, France
2022 EKEP, Korean Artists exchange program, Romania.
L’Art dans le Champs, Landart , France.
EgyFestsz, pubblic installation, Transylvania.
Kommagene Biennale, Turkey.
Gwangju World Parade, South Korea.
SIEAF Experimental Art Festival, South Korea.
Nello Spirito di Correggio, Palazzo dei Principi, Correggio, Italy.
2021 SIEAF Experimental Art Festival, South Korea.
Under the Bamboo tree, Woodcut, Labirinto della Masone, Italy.
GNAP Germay, Nature Art residency, Darmstadt.
Landart Engelberg, CH