La meditazione al servizio dello sport.
Intervista di Anna Magli a Daniel Lumera, biologo naturalista e referente internazionale nell’ambito delle scienze del benessere e della qualità della vita.
Chi pratica sport, specie a livello agonistico, sa bene quanto la mente possa influenzare le prestazioni del corpo: blocchi, paure e traumi hanno una ricaduta sulla resa anche a lungo termine. La meditazione, in tal senso, è di grande aiuto: meditare significa focalizzarsi, aumentare la concentrazione, vivere nel momento e prendere coscienza del proprio corpo nello spazio. Dopo che alcuni studi hanno provato i benefici di questa pratica, intere squadre hanno implementato la meditazione come parte fondamentale dell’allenamento, ad esempio la squadra di tennis francese e gli All Blacks. Maria Sharapova, Yann Sommer, Novak Djokovic e Tadej Pogačar sono solo alcuni degli sportivi che hanno dichiarato di praticare la meditazione per migliorare le loro performance, dentro e fuori dal campo. Ne parliamo con Daniel Lumera, biologo naturalista, scrittore, docente e riferimento internazionale nell’ambito delle scienze del benessere e della qualità della vita.
Quali sono, in generale poi parleremo di quelli specifici, i benefici della meditazione sul benessere degli sportivi?
La letteratura scientifica a disposizione è estremamente vasta. Solo su PubMed, una delle principali banche dati di pubblicazioni in ambito biomedico, abbiamo 37 mila articoli sull’argomento, se digitiamo in ricerca le parole chiave “meditation or mindfulness”. I benefici della meditazione variano dai processi di disinfiammazione, che sono alla base di tutte le malattie croniche come l’Alzheimer o il cancro, fino ad agire sui processi di invecchiamento: l’orologio biologico di una persona che medita, infatti, è di circa 10 anni inferiore di quello di una persona che non medita; quindi, parliamo di un “farmaco naturale” di longevità. Poi, abbiamo delle incredibili applicazioni a livello delle abilità cognitive: la lucidità, la memoria, la presenza mentale e anche il tono dell’umore. Ci sono studi che dimostrano come la meditazione incida sugli attacchi di panico, sull’ansia, sulla depressione e, in generale, su tutte quelle emozioni primarie come la rabbia, ad esempio, che determinano la qualità della nostra vita. La meditazione è un balsamo incredibile, che può essere applicata con grandi benefici in diversi contesti sociali, come carceri, ospedali, hospice di fine vita, scuole. E stiamo assistendo ad un fenomeno massivo di divulgazione di questa arte millenaria così attuale. Insieme all’Organizzazione di Volontariato My Life Design, da me fondata, portiamo avanti da anni in tutta Italia e non solo, numerosi progetti ad alto impatto legati alla diffusione della meditazione e di pratiche di consapevolezza in contesti sociali, educativi, aziendali, sportivi e sanitari, per concorrere a generare un cambiamento tangibile nella qualità della vita e nel benessere di comunità e territori.
Cos’è la mindfulness?
La mindfulness non è una meditazione, ma si riferisce a uno stato “previo” alla vera e propria meditazione, estremamente utile. Viviamo in un contesto iper performante, dominato principalmente dalla dopamina e dall’adrenalina. Un contesto che crea dipendenza e allo stesso tempo genera picchi di performance molto intense, che si alternano a stati depressivi. La meditazione è un bilanciamento costante, sempre che la pratica sia quotidiana, una piccola pillola di benessere che deve essere assunta tutti i giorni. Un esercizio, che ci permette di attraversare in maniera più equilibrata quello stile di vita così alterato che abbiamo prodotto nella società contemporanea. I dati scientifici sono straordinari, grazie agli studi condotti dalle neuroscienze su questa pratica millenaria applicata in numerosi contesti, anche estremamente delicati. Come ho affermato in precedenza, abbiamo progetti anche nelle carceri: solo in Italia possiamo contare su risultati veramente straordinari in relazione all’aggressività e alla capacità di dominare i propri stati interiori.
Certamente, anche nell’ambito dello sport la meditazione è un aiuto incredibile. Migliora da tutti i punti di vista la performance degli sportivi, i tempi di recupero, la capacità di visione sia in sport come, per esempio, il tiro con l’arco che ha degli obiettivi ben precisi, o il basket e il calcio che invece hanno un ambiente variabile. In entrambi i casi, secondo la tecnica che viene utilizzata, le performance sportive migliorano in maniera superlativa. Ed è per questo che alle Olimpiadi di quest’anno abbiamo visto tantissimi atleti, medaglie d’oro, utilizzare la meditazione: ci sono immagini che li riprendono a gambe incrociate e occhi chiusi poco prima di entrare nella performance, vere e proprie immagini iconiche di questa pratica che si sta diffondendo moltissimo anche nello sport.
Negli sport di squadra la meditazione deve avvenire insieme o è importante che ogni atleta la pratichi individualmente?
Le tecniche devono essere sviluppate, prima di tutto, in maniera individuale, con una ruotine quotidiana che varia dai 12 minuti (quindi qualcosa che tutti possiamo fare), fino ai 30/40 minuti o persino un’ora di pratica. C’è uno studio davvero interessante, che dimostra come in due mesi e mezzo di pratica meditativa costante il nostro corpo produca il 30% in più di telomerasi, un enzima che ripara i telomeri, ossia i cappucci dei cromosomi che la scienza utilizza per misurare la nostra longevità. Quindi in soli due mesi e mezzo, in teoria, possiamo guadagnare anni di vita e di salute. Negli sport di squadra è importante, quindi, meditare da soli, con la propria ruotine quotidiana, affiancando poi momenti di pratica collettiva che rafforzino la qualità delle relazioni e l’armonia tra i compagni, per portare la squadra a muoversi come un organismo unico. Grazie a queste pratiche, si sviluppa un alto grado di empatia e di intuizione, arrivando a capirsi anche senza parlarsi. Si genera, infatti, un linguaggio non verbale che viene meglio compreso; è per questo che consiglio sia la pratica individuale, sia momenti dove le tecniche siano collettive, in precisi istanti prima delle performance agonistiche.
Quando parla di routine quotidiana, a che tempi si riferisce e su quali pensieri si deve concentrare la meditazione, in modo particolare per un atleta?
In realtà questo concetto è un controsenso, perché la meditazione non è concentrarsi su pensieri, ma raggiungere uno stato di vuoto mentale. Sappiamo che la scienza definisce “wandering mind” il fenomeno comunissimo della mente vagabonda. Il dato è sconvolgente: noi esseri umani passiamo il 47% della giornata a pensare a quello che non sta accadendo, che significa avere una mente che divaga in continuazione, sprecando un’enorme quantità di energia. Ogni giorno la nostra mente, solo nell’attività di pensiero, quando non è ruminante, impiega dalle 340 alle 360 kilocalorie. Una quantità enorme di energia, che avrebbe invece bisogno di attingere dalla riserva cognitiva per i processi di creatività, oppure per riparare il nostro corpo. La meditazione giunge allora in soccorso e aiuta a creare un vuoto mentale, che serve per riportare la mente in un processo altamente rigenerativo; di solito, un meditatore esperto in 40 minuti di pratica fa quello che il sonno fisiologico compie in 5 ore. Un vantaggio enorme! La pratica, però, può essere semplicemente anche di soli 12 minuti, che sono già sufficienti per far risparmiare alla nostra mente una quantità notevole di energia.
A livello scheletrico e muscolare, quali sono i vantaggi che la meditazione apporta in un atleta?
C’è una strettissima connessione tra pensiero e biologia del nostro corpo: se chiudessimo gli occhi e immaginassimo un piatto di cui siamo golosi, oppure una scena di sforzo fisico o sessuale, anche se si tratta di immaginazione, il cervello non la distinguerebbe dalla realtà e comincerebbe a produrre salivazione, succhi gastrici, alterazione della pressione sanguigna, del ritmo cardiaco e anche ormoni. Questo vuol dire che, conoscendo questi meccanismi, attraverso la meditazione e le tecniche di visualizzazione e respirazione, possiamo modificare profondamente la struttura del nostro corpo. Possiamo alterare il metabolismo, ridurlo, ridimensionare i processi di infiammazione, ma anche attivare azioni di recupero da stress, da post-allenamento, sia dopo una gara agonistica, sia nella riabilitazione, in caso di infortunio. La mente meditativa produce dei cambiamenti strutturali nel corpo, sia di tipo muscolare che, addirittura, di tipo scheletrico. È, quindi, possibile allenare la mente, in maniera molto specifica, a produrre dei cambiamenti funzionali al tipo di gara che dobbiamo affrontare o al recupero post-agonistico, con risultati straordinari. La meditazione è un’arte che la scienza oggi riesce a misurare e quindi possiamo applicarla in questi contesti sportivi, ma anche, ad esempio, in un contesto post-operatorio.
È vero che meditare aiuta a percepire meno il dolore e la fatica?
Assolutamente sì. Ci sono studi molto specifici che spiegano, ad esempio, come il Mahatma Gandhi abbia affrontato l’intervento di appendicite senza anestesia. Senza guardare solo ai grandi personaggi storici, oggi comunque la meditazione può essere utilizzata per affrontare eventi più comuni, come un parto, ad esempio. Immaginiamo di applicare questi benefici allo sport e di riuscire a condizionare così tanto la nostra mente da non farci percepire il dolore: risulta un vantaggio straordinario nelle pratiche agonistiche.
Anche la rabbia e la frustrazione, emozioni tipiche di chi si mette in discussione in una gara, possono diventare maggiormente gestibili con la meditazione?
In modo assoluto. Tra gli impatti più importanti della meditazione c’è quello emotivo: la meditazione, infatti, ci insegna a riconoscere e a percepire non solo tutte le nostre emozioni primarie, quindi rabbia, frustrazione, senso di colpa, ansia, ma anche tutta la gamma di emozioni che possono essere funzionali in una gara sportiva, regolandole anche in ampiezza e in profondità, fino a trasformarle. Un momento di rabbia, per esempio, può trasformarsi in uno stato di profonda creatività o in determinazione. Così come uno stato di ansia può diventare pace e lucida presenza. Ciò è possibile a patto di padroneggiare le tecniche di respirazione e di attenzione. Le tecniche di respirazione, ad esempio, sono potentissime: se è vero che una stato d’ansia modifica la nostra respirazione rendendola clavicolare, la riduce e invia meno ossigeno al cervello, è vero anche il contrario, cioè che respirando attraverso l’ansia, noi possiamo sciogliere quell’emozione e trasformarla in qualcosa di estremamente più funzionale. Per questo la meditazione e le pratiche di consapevolezza risultano grandissime alleate della pratica sportiva, sia a livello amatoriale (e possiamo sperimentarlo tutti), sia a livello professionistico.