Salicoltura. Gli agricoltori del mare che tutelano ambiente e biodiversità.
Intervista di Anna Magli a Ciro Zeno, capo progetto di “Progetto Salicoltura”.
La raccolta del sale, la Salicoltura, classificata non più come produzione industriale ma elevata al rango di attività agricola. Questo l’obiettivo di un progetto, denominato L’agricoltura coltiva il sale, a cui sta lavorando Confagricoltura, in qualità di capofila dell’associazione “Progetto Salicoltura”, i cui soci sono le società che coltivano le Saline di mare italiane, di Margherita di Savoia in Puglia, di Cagliari e Sant’Antico in Sardegna, di Trapani e Marsala in Sicilia, fino a quelle di Cervia in Romagna.
Se è vero che il sale è a tutti gli effetti un minerale, è anche innegabile che la sua raccolta riveste caratteristiche molto simili a quelle delle coltivazioni agricole: stagionalità, lavoro manuale, uso del suolo e dell’acqua, legata al clima e dipendente dalle condizioni climatiche.
Il sale marino – da distinguersi dal salgemma estratto dal sottosuolo – si ottiene infatti dalla raccolta del cloruro di sodio contenuto nell’acqua di mare fatta evaporare in aree dedicate, le saline.
Dei prossimi obiettivi di questa cordata, Confagricoltura e saline italiane, ne parliamo con l’Ing. Ciro Zeno, capo progetto di “Progetto Salicoltura”.
Abbiamo già detto come la raccolta del sale ricorda, in molti suoi processi, l’attività agricola. In cosa consiste la proposta di legge che intendete presentare?
Riteniamo che sia necessaria una legge specificatamente dedicata alla Salicoltura, in quanto essa si presenta intrinsecamente complessa ed è indubbiamente articolata nelle sue valenze territoriali.
Per i nostri associati, i Salicoltori italiani, è quindi strategico che da una parte ci sia il riconoscimento agricolo delle proprie attività, cioè l’assimilazione dell’attività saliniera a quelle agricole nazionali, e dall’altra il riconoscimento della multifunzionalità della Salicoltura nei confronti del territorio.
Riguardo a quest’ultimo punto, si ricorda che le saline marittime, grazie alla produzione del sale marino, sono state da tempo riconosciute come zone umide ad altissima valenza naturalistica, in cui gli aspetti antropici si fondono armoniosamente con quelli naturali, definendo al contempo le caratteristiche di ruralità dei luoghi.
Un’ipotesi di lavoro potrebbe essere una legge di iniziativa governativa, una legge delega per intenderci, attraverso la quale il Governo venga incaricato di legiferare in materia.
Abbiamo già una bozza del testo e sono state avviate interlocuzioni con il sottosegretario di Stato del MASAF, on. Giacomo Lapietra, che ha espresso il suo interesse e supporto in occasione della conferenza stampa di presentazione della nostra iniziativa, tenutasi a Roma il 27 settembre 2023 nella sede di Confagricoltura Nazionale.
Quali sarebbero i vantaggi che potrebbero derivare, se la raccolta di sale marino fosse riconosciuta come attività agricola?
Sarebbero notevolissimi. Per capire l’importanza che riveste il contenuto della nostra azione evidenziamo che ad oggi, il Salicoltore, che opera a cielo aperto, soggetto quindi a tutte le avversità connesse a questa condizione, non ha nemmeno la possibilità di potersi assicurare dai danni conseguenti al maltempo!
Al contrario, le imprese agricole, qualora colpite da calamità naturali o da avversità atmosferiche, sono protette dai danni alle loro produzioni dal “Fondo di solidarietà nazionale” (FSN), istituito con il D.lgs. 102/2004 “Interventi finanziari a sostegno delle imprese agricole”. Per le imprese agricole sono inoltre previste specifiche misure di difesa del reddito, anche attraverso forme assicurative specificatamente pensate per questo comparto.
Traslare le prerogative fiscali, previdenziali, contributive, assicurative, le misure di ristoro in caso di eventi meteorologici severi, vigenti in ambito agricolo alla Salicoltura, rilancerebbe evidentemente l’intero settore e l’indotto direttamente connesso.
Inoltre, si potrebbero attivare adeguate misure per tutelare e valorizzare il sale marino, in quanto bene identitario del territorio di origine.
Infine, potrebbero definirsi distretti agroalimentari incentrati proprio sul sale marino, a beneficio peraltro non soltanto dei Salicoltori, ma di tutti gli agricoltori coinvolti in questo.
È quindi evidente che il riconoscimento agricolo della Salicoltura porterebbe non soltanto vantaggio imprenditoriale, ma contribuirebbe alla definizione di una nuova sostenibilità territoriale in senso economico, naturalistico-ambientale e sociale.
Che tipo di finanziamenti si possono ottenere dalla Comunità Europea in caso di riconoscimento?
La nostra aspirazione è quella di poter rientrare nell’ambito di applicazione della Politica Agricola Comune (PAC), la misura europea di sostegno più importante prevista per l’agricoltura.
https://agriculture.ec.europa.eu/common-agricultural-policy/cap-overview/cap-glance_it
Ma per questo è necessario che il sale marino rientri nei prodotti agricoli previsti dall’Allegato 1 dell’Articolo 38 del “Trattato sul funzionamento della Unità Europea”.
È un percorso lungo, che richiede il coinvolgimento di tutti i Salicoltori europei, primi fra tutti, naturalmente, quelli francesi, che dal 2019 rientrano nel comparto agricolo d’oltralpe.
Come ha appena ricordato, in Francia, le saline marittime della Bretagna e della Camargue dal 2019 sono state riconosciute agricole, cosa ha comportato questa trasformazione?
Si deve premettere che la posizione dei Salicoltori francesi, rispetto a quelli italiani, è sensibilmente diversa.
Prima del 2019 la Salicoltura francese godeva già di alcune prerogative agricole, tra cui il regime fiscale, cioè la Salicoltura era per certi aspetti “equiparata” all’agricoltura.
La “saliculture” era però esclusa da alcuni vantaggi previsti per gli imprenditori agricoli, tra cui il più importante tra questi era sicuramente l’impossibilità di accedere all’equivalente francese del nostro FSN “Fondo di Solidarietà Nazionale”, a cui abbiamo fatto cenno nella domanda precedente.
Con la “LOI n° 2019-469 du 20 mai 2019 del 2019” https://www.legifrance.gouv.fr/jorf/id/JORFTEXT000038489303 la Francia ha ampliato la definizione di attività agricola nazionale, estendo il suo ambito di applicazione alla Salicoltura.
Oggi i Salicoltori francesi godono di tutte le prerogative delle attività agricole nazionali, ma naturalmente non possono accedere ai fondi europei, in quanto, come ricordavamo prima, è necessario per questo che il sale marino sia riconosciuto dall’Europa come un prodotto agricolo.
Quanto sono vaste le saline italiane?
Le saline marittime italiane si estendono per un complesso di oltre 100 chilometri quadrati, dislocate nelle regioni della Puglia, Sardegna. Sicilia ed Emilia Romagna; i terreni impegnati sono per la maggior parte di proprietà del Demanio dello Stato (più del 75%), mentre la restante parte appartiene o è locata ai Salicoltori.
Le saline italiane, eccellenze ed esempi da imitare per le altre saline del Mediterraneo, sono state da sempre luoghi di attrazione economica e quindi crocevia di intensi scambi commerciali, divenendo nel corso dei secoli elemento determinante nello sviluppo socio-economico ed urbanistico di centri urbani anche di dimensioni rilevanti, quali Cagliari, Trapani, Cervia.
In alcuni casi, come Margherita di Savoia (Puglia), sede della Salina italiana più estesa e tra le maggiormente produttive d’Europa, un territorio si è fatto comunità per praticare la Salicoltura, legando il proprio destino a quest’attività.
Se considerassimo il numero complessivo di abitanti, di cittadini italiani, che alzando lo sguardo vedono davanti a sé una Salina, ci renderemmo conto che il loro numero si attesterebbe intorno al mezzo milione.
In altre parole: quasi un ventesimo della popolazione italiana gode di beni, servizi e funzioni che dalla Salina promanano verso il territorio grazie alla biodiversità generata dalla Salicoltura.
Sotto questa luce, appare evidente che gli obiettivi di “Progetto Salicoltura”, l’interpretazione agricola della produzione saliniera, rappresentano un mezzo attraverso il quale queste comunità vivrebbero in un territorio ancor più attrattivo e sicuro.
Emergerebbe inoltre il profilo sociale del Salicoltore: un soggetto privato portatore di interessi pubblici, “custode e garante” del territorio, di cui sostiene per intero il suo “costo ambientale”.
Quante persone sono impiegate nella raccolta del sale e che giro di affari muove quest’ attività?
Mediamente l’intero fatturato del comparto, indotto escluso, si attesta intorno ai 70 milioni di euro. Come per tutte le attività agricole parliamo di valori medi, che possono oscillare anno per anno in funzione del successo conseguito durante la “campagnata salifera”.
Per quanto riguarda invece il numero di addetti, possiamo parlare di circa 250 unità impegnate.
Qual’è la differenza tra sale marino e salgemma
Da un punto di vista merceologico non esiste una differenza, in quanto si parla sempre di cloruro di sodio, il comune “sale da cucina”.
D’altra parte tentare un paragone tra il sale marino e il sale minerario è del tutto fuorviante, in quanto sono espressione di due attività umane che, pur producendo lo stesso bene, sono del tutto differenti nell’organizzazione industriale e nella volontà imprenditoriale: l’imprenditore minerario processa un bene prodotto dalla Natura qualche milione di anni fa, il Salicoltore anno per anno produce e raccoglie il sale marino, assoggettandosi quindi ad un profilo di rischio d’impresa certamente più alto.
In Europa la produzione di sale è di circa 40 milioni di tonnellate. In termini strettamente percentuali il sale marino copre appena il 10% di questa produzione.
In Italia, nazione tradizionalmente ricca di saline marittime, la percentuale sale a circa il 35%, (con una produzione che oscilla intorno alle 1.200.000 tonnellate annue su di una produzione nazionale di circa 4.5 milioni di tonnellate per anno).
Il riconoscimento agricolo della Salicoltura segnerebbe un’importante punto di svolta, in quanto permetterebbe a questo settore di differenziarsi dal comparto minerario, in virtù delle sue specificità e finalmente parlare con voce propria.
Per cosa viene utilizzato il sale?
L’importanza del sale nell’economia contemporanea è dovuta a due motivi.
Il primo è che esso è necessario per la nostra sopravvivenza. Dal suo consumo ne traiamo sodio e cloro, due dei dodici elementi più importanti presenti nel corpo umano.
Nel nostro sistema fisiologico, il sale è presente come ione di sodio. Esso controlla il movimento muscolare, compreso quello dei muscoli del cuore, il movimento peristaltico del tratto digestivo e la trasmissione di impulsi da parte delle cellule nervose. Lo ione cloridrico produce acido cloridrico richiesto per la digestione. Inoltre attraverso il sale viene regolata la pressione e lo scambio di fluidi intra ed extra cellulare.
La mancanza di questi elementi porta pertanto dapprima alla decadenza fisica e poi alla morte.
Ricordiamo inoltre che il sale iodato, cioè additivato con un contenuto minimo di iodio, aiuta a prevenire malattie importanti che impattano su più di un terzo della popolazione mondiale come il cretinismo, la gotta ed altre patologie.
L’altro motivo è che la chimica ha usato questa commodity poco costosa e abbondantemente disponibile come un’importante materia prima nell’industria odierna. Con l’avvento della civiltà industriale, gli usi e l’importanza del sale si sono moltiplicati. Attualmente sono stati censiti ben 14.000 modi di utilizzo, sia puro che in combinazione con altri elementi.
Il sale è uno dei Big Five tra i prodotti chimici che costituiscono la base dell’industria chimica, gli altri quattro sono zolfo, carbone, calcare e petrolio. Il suo consumo globale cresce in maniera diretta con il trend dell’indice di natalità mondiale
Il suo utilizzo non è pertanto limitato al solo campo alimentare, ma abbraccia diversi segmenti industriali: da quello alimentare a quello chimico e tessile. Viene inoltre utilizzato per il disgelo delle strade.
Da un punto di vista naturalistico le saline di oggi sono tutte assoggettate a diversi vincoli naturalistici. Quali sono i loro ecosistemi? Che tipo di specie proteggono?
Effettivamente l’importanza naturalistica delle saline marittime è stata da tempo conclamata dalla legislazione internazionale, europea, nazionale e regionale, che le ha inserite nelle importanti attestazioni naturalistiche della Convenzione di Ramsar, della “Rete Natura 2000”, delle Riserve Naturali dello Stato e dei parchi regionali.
Non per nulla, infatti, le saline marittime rappresentano da sempre un “rifugio” per l’avifauna, in quanto aree ideali per la loro sosta, lo svernamento e la riproduzione. Alcune specie di avifauna, quali il fenicottero roseo, la sterna zampenere, il cavaliere d’Italia, sono diventate specie iconiche, assurgendo a “simboli” delle saline e più in generale del territorio.
Rispetto alle ordinarie zone umide costiere, le saline marittime produttive sono zone umide a più alta valenza naturalistica, in quanto il suo ecosistema si presenta più stabile e resiliente, grazie alla pratica della Salicoltura che lo genera e lo mantiene, preservandolo dagli impatti antropici esterni.
È possibile fornire una visione di insieme sufficientemente approssimata di tale ecosistema, utilizzando come parametro il solo contenuto salino presente nelle acque di processo della Salina marittima.
Nel concludere, un’ultima osservazione: le saline marittime contribuiscono a mitigare gli effetti legati ai cambiamenti climatici, rappresentando bacini di calma e zone di mitigazione degli effetti di alluvioni, esondazioni, bombe d’acqua e, più in generale, delle manifestazioni metereologiche avverse. Ma a che prezzo!
Noi tutti abbiamo davanti agli occhi le immagini dell’alluvione nella Romagna del maggio 2023, e di come la Salina di Cervia ne sia rimasta seriamente danneggiata, ma dal suo sacrificio ne sono venuti meno danni alla popolazione e al territorio circostante.