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Ti serve un trapano? Vieni a prenderlo in biblioteca!

Intervista di Anna Magli ad
Antonio Beraldi, coordinatore della comunità di Padre Marella e fondatore del progetto Leila.

Un grande spazio nel cuore di Bologna dove al posto dei libri si prendono in prestito oggetti, ma anche idee, antichi saperi e si impara a condividere. Ne parliamo con Antonio Beraldi, coordinatore della comunità di Padre Marella e fondatore del progetto Leila, un’ incredibile iniziativa di economia circolare.

Quando è scattata la scintilla che ti ha portato a realizzare questo progetto?
L’idea mi è venuta durante un viaggio in Germania, dove a Berlino mi sono imbattuto in questa una biblioteca degli oggetti chiamata Leila dal suo fondatore. Così, una volta rientrato a Bologna, grazie ad un patto di collaborazione con il Comune di Bologna per un piccolo contributo e uno spazio presso la Velostazione, ho allestito la prima bacheca Leila, prima di molte altre che sono state aperte in seguito in città.

Cerchiamo di spiegare ai nostri lettori in cosa consiste il progetto e soprattutto cosa si trova nelle bacheche Leila.
In sostanza di tutto, prevalentemente oggetti di uso quotidiano che le persone possono prendere in prestito per il periodo in cui ne hanno bisogno, per poi restituirle: dal trapano al tosaerba, dallo strumento musicale all’estrattore di succhi, dal videoproiettore alla tenda per campeggio. Oggetti costosi di cui magari si ha necessità solo per una particolare occasione.

Come si può aderire al progetto e usufruire di questi prestiti?
Per iscriversi a Leila occorre fare una tessera associativa, che dura per sempre, per la quale è tuttavia previsto un contributo annuo di 15 euro per rinnovare l’adesione ai servizi dell’associazione. Alla base del progetto di Leila a Bologna c’è il desiderio di promuovere la cultura della condivisione. Grazie a questa idea riusciamo ad agire concretamente ogni giorno su tematiche come l’economia circolare, grazie alla condivisione che fa sì che ogni oggetto venga utilizzato a pieno, l’ecologia, che porta ad acquistare solo quello di cui ho veramente bisogno e soprattutto la cultura del condividere, che favorisce l’esercizio della fiducia. La riflessione sull’idea di possesso in favore dell’utilizzo, aiuta a restituire un valore agli oggetti e alle relazioni che ne scaturiscono. In poco tempo, dall’inizio di questa sperimentazione, le bacheche Leila hanno trovato casa in cinque diversi ambienti in giro per la città, fra cui la prestigiosa sede della Sala Borsa, la biblioteca civica multimediale che si trova in piazza Nettuno, nel cuore della città. Ma è nel 2019 che con l’’associazione abbiamo vinto un bando per l’assegnazione di spazi comunali che ci ha permesso di traferirci, dopo un anno, in un unico grande locale unificando i corner periferici ma mantenendo quello centrale della Sala Borsa.

Quali sono le difficoltà che avete incontrato nella realizzazione del progetto, soprattutto in considerazione del fatto che vi siete mossi proprio nel periodo della pandemia.
Nel corso di questi anni Leila ha affrontato momenti difficili, attraversando la crisi economica, la pandemia, le guerre. Sfide che paradossalmente hanno rafforzato i nostri obiettivi: la crisi economica ha fatto in modo che Leila si trovasse pronta ad affrontare il problema con la sua offerta, mettere a disposizione oggetti di uso quotidiano ma costosi che le persone non si potevano permettere di comprare. Con la pandemia abbiamo avuto la bella sorpresa di veder aumentare le nostre tessere rispetto l’anno prima: più persone che hanno aderito al progetto perché la nascita della sede unificata ha rafforzato la nostra identità. Ma soprattutto la pandemia ha cambiato le persone: il riconoscere di avere bisogno l’uno dell’altro, la riscoperta della solidarietà. In un momento in cui anche il lavoro a tempo indeterminato è stato messo in discussione, ha acquisito forza il messaggio del progetto Leila che è il contrario di “più possiedi e più hai” e invita a condividere quello che si ha, senza bisogno di continuare a spendere. Leila Bologna, la sua missione e il suo messaggio hanno fatto da apripista per iniziative simili. Nel 2018 una ragazza austriaca ha deciso di fare una tesi di laurea sul fenomeno delle biblioteche degli oggetti come movimenti di economia circolare e ne ha recensiti ben 24. Nel corso delle interviste per la ricerca, si scopre che molte di queste nuove esperienze in giro per l’Europa guardavano a quella di Bologna, al suo sviluppo capillare e, in modo particolare, all’esperienza in Sala Borsa che ha fatto in modo di portare Leila dentro ogni biblioteca di quartiere, rendendo gratuita la tessera associativa per tutti gli iscritti alle biblioteche. Un canale privilegiato che permette di usare come punto di recapito i box all’interno di ogni biblioteca dove le persone potranno ritirare l’oggetto che hanno prenotato presso la sede centrale di Leila. Una dinamica semplice dal punto di vista dell’economia circolare ma ricca dei significati che derivano dalle interazioni che scaturiscono.

Esistono in Italia altre realtà simili alla vostra?
Nel nostro paese, anche se esistono altre iniziative simili, nessuna associazione opera con la dinamica che rende Leila un progetto innovativo. Sono presenti, infatti, da qualche anno, realtà simili a Leila, come ZERO Oggetti Condivisi a Palermo o l’Oggettoteca di Firenze che è quasi esclusivamente legata agli oggetti della prima infanzia. Leila Bologna è un progetto che richiede attenzioni quotidiane che vanno dalla creazione di un gestionale efficiente alla collaborazione con altre realtà, alla comunicazione efficace per portare alla conoscenza di questa opportunità più persone possibili. Ma soprattutto è importante ricordare che il progetto si basa su un rapporto di fiducia reciproca. Leila, oltre ad essere un’iniziativa che riveste valori sociali e di sostenibilità, per noi ha una forte accezione culturale. Per attivare il servizio è richiesto di mettere in condivisione qualcosa di personale. Tutti gli oggetti presenti nella sede e sul sito dell’associazione appartengono, di fatto, a qualcuno che li mette a disposizione di altri. Non ci sono donazioni, come in altre associazioni d’assistenza, ma un vero prestito. Questa accezione culturale, che per noi è fondamentale, in una ricerca realizzata su 90 progetti simili è emersa come una prerogativa esclusiva del nostro progetto: siamo di fatto gli unici che hanno questo valore, cioè l’aver puntato sulla trasversalità. In Europa 24 progetti che sono nati basandosi sul nostro, hanno poi deciso di appoggiarsi ad altre situazioni già consolidate come parrocchie, Caritas o altri enti di beneficienza e si sono caratterizzati per una connotazione più di assistenza e sostegno: sicuramente perseguendo obiettivi diversi dai nostri. Lavorando nel sociale da quasi 20 anni e conoscendo Bologna da un certo punto di vista, ho capito che questo tipo di scelta fatta dagli altri, sarebbe stata un’etichetta che avrebbe in qualche modo avrebbe limitato il progetto nelle sue potenzialità. A noi non interessa che chi entra nello spazio Leila non abbia i soldi per comperarsi un trapano o magari, al contrario, viaggi in Porche. A noi interessa che sia consapevole del gesto che sta facendo.

Secondo quello che hai appreso in Germania, come è nata la prima Leila a Berlino? Come hanno sviluppato il processo di espansione una volta realizzata la prima bacheca?
La realtà da cui ho preso spunto, anche se poi abbiamo preso strade diverse, nasce dall’idea di un attivista del partito dei Grünen (i Verdi tedeschi), Nikolai, che ha fatto tesoro di una dinamica che si era verificata nel suo condominio. Dato che i suoi vicini erano a conoscenza del fatto che praticava diversi sport, quando qualcuno aveva bisogno di un pallone da basket, una raccheta da tennis, delle pinne o qualsiasi altro oggetto sportivo andava a chiederglielo in prestito, lo usava per il tempo di cui ne aveva bisogno e poi glielo restituiva. Poiché Nikolai era spesso in viaggio, un giorno decise di lasciare le chiavi del deposito dove teneva i suoi attrezzi in modo che chi ne avesse avuto bisogno poteva servirsi e restituire in modo autonomo. Da questa esperienza è nata l’idea di ampliare l’offerta e creare una vera biblioteca degli oggetti accettando, dopo un primo periodo, anche donazioni o baratti. Un concetto molto diverso dalla filosofia di Leila Bologna considerando anche che le donazioni che arrivavano in Germania, contrariamente a quello che succede nei mercatini di beneficienza italiani, sono cose intatte e immediatamente fruibili e se sono abiti, vengono consegnati puliti e non usurati: una mentalità completamente diversa da quella tutta italiana dello “svuotacantine”. La rete Leila esiste in Germania, Austria, Inghilterra, Stati Uniti, Canada ed altri paesinella dimensione di biblioteche di oggetti ma hanno un’impostazione diversa da quella di condivisione e reciproca fiducia che caratterizza la rete Leila nata a Bologna.

Leila ha dato origine ad altri progetti di condivisione. Quali sono quelli attualmente in essere?
Oltre alla biblioteca degli oggetti, Leila ha messo in campo altri progetti, tutti finalizzati alla condivisione. Il primo progetto, chiamato Empirico, vedeva un vecchio container trasformato in un laboratorio permanente dove, per 24 giorni, si sono alternati diversi artigiani tra falegnami, fabbri, vetrai e molti altri che, con una diretta Facebook illustravano al pubblico la nascita dei manufatti. L’idea era di condividere i “saperi” in risposta alla scomparsa da Bologna delle botteghe artistiche e artigianali. Finita l’esperienza è stato deciso di rendere il progetto permanente. Nasce quindi BOtteghe, un laboratorio di quartiere all’interno dello spazio Leila dove gli artigiani insegnano la loro arte tramite corsi, laboratori e workshop. Progetto inizialmente frenato dalla pandemia ma tornato a grande richiesta e con rinnovato vigore quando le cose si sono stabilizzate; BOtteghe è ripartito con laboratori di falegnameria per bambini, uncinetto, ceramica, saldatura, stampe 3D in collaborazione con gli educatori di quartiere, con i soci e gli artigiani che mettono a disposizione i la loro arte.
Inoltre c’è la Cargobike, il laboratorio ambulante. Insieme a altre associazioni viene realizzata una piccola officina, la “Leila CiapLab su gomma”, un mezzo che fa tornare alla mente l’arrotino che si spostava nei vari quartieri e sulle piazze. Leila propone la stessa dinamica chiedendo alla gente di scendere in strada per riparare insieme oggetti danneggiati, scollati, non più perfettamente funzionanti. Questa idea ha incontrato altre realtà come MammaBo eMOM approved, un gruppo di mamme che si è aggregato per contrastare la carenza di posti adatti a bambini e famiglie. La Cargo Bike è un cassone di legno che viene trasportato da una bici con pedalata assistita e può trasformarsi in laboratorio con banco di lavoro di falegnameria o in una grande e misteriosa cassa di legno che contiene piccoli e grandi giochi pronti per essere scoperti dai bambini e dalle bambine ovunque si trovino, nella libertà più assoluta: “I giochi di Pippo” . La messa a disposizione di piccoli attrezzi come cerchi, corde da saltare, birilli per il bowling, frisbee, trampoli, bolle di sapone, gessi colorati, permette di poter usare la fantasia e organizzare in modo autonomo i momenti di gioco in qualsiasi spazio pubblico. Il nome del progetto viene da quello di un bambino, Filippo, morto nel 2007 a New York in un incidente in elicottero. La mamma di Filippo ha fatto una donazione per acquistare questi giochi in modo che Filippo riviva un po’ in tutti i bambini che li usano. Leila è un modello di associazione che vogliamo esportare in altre città italiane, lavorando con chi si sente di portare avanti i nostri stessi obiettivi. Perché il futuro è condivisione. In fondo, per vivere, abbiamo solo bisogno di utilizzare, non di possedere.